Nelle aree montane esistono le condizioni perché possa rimanere in vita una cultura della comunità locale come soggetto dello sviluppo delle persone e dei mondi vitali?
Nel tempo della globalizzazione, che tutto travolge e rende uniforme, è possibile che nelle “aree periferiche” in generale si sviluppino specificità che garantiscano qualità di vita in senso “integrale”, cioè economico, sociale, culturale, relazionale e spirituale?
Tutte le “periferie” del mondo vivono questo dilemma, che può essere risolto anzitutto con un approccio culturale: si tratta di saper valorizzare le risorse proprie di ogni territorio.
Risposte comunitarie
Da secoli, in diverse regioni dell’arco alpino, le comunità hanno sviluppato modelli organizzativi che hanno permesso loro di sopperire ai bisogni. Quasi millenari sono i cosiddetti “usi civici”, mentre l’esperienza cooperativa è iniziata alla fine dell’Ottocento con iniziative comunitarie volte a rispondere a bisogni individuali. Le “cooperative di consumo”, per esempio, nascono per garantire l’approvvigionamento di prodotti primari non reperibili in zona (sale, zucchero…) e per meglio commercializzare i prodotti delle proprie località (patate, fagioli, funghi); le Casse rurali sorgono per contrastare l’usura e favorire la circolazione interna del denaro, di modo che il risparmio di una persona diventa investimento per un’altra. Più recentemente la cooperazione sociale si sviluppa intorno al desiderio di offrire risposte significative a vecchi e nuovi bisogni delle persone, dovuti all’età, alla malattia e alle diverse forme di disabilità.
Le comunità esistono ancora, almeno a livello istituzionale: ci sono i Comuni, spesso di piccole dimensioni, le comunità di valle e, in alcune realtà, sono tuttora vigenti le “regole” degli “usi civici”. Purtroppo la cittadinanza residente non sempre esprime voglia di partecipare.
Sperimentare il “possibile”
Le zone montane e i piccoli paesi continuano a svolgere azioni comunitarie improntate alla solidarietà, e il concetto di “bene comune” rimane abbastanza diffuso; lo dimostrano la cura per le bellezze naturali del proprio territorio, l’attenzione ai temi ambientali e il sorgere dei parchi naturali protetti. Fare memoria è importante, ma le condizioni di vita sono cambiate ed esigono risposte innovative: è necessario sperimentare nuovi modelli organizzativi, capaci di far crescere ogni comunità, offrendo opportunità e qualità di vita a chi desideri spendere in montagna o nelle “periferie” la propria esistenza.
Approccio culturale
Conoscenza e cultura, intese come comprensione dei fenomeni e capacità di gestione, ma anche stimolo a una mentalità di appartenenza e di innovazione verso le comunità in cui si vive e opera, sono precondizioni per promuovere ben-essere in senso integrale. I dati dicono che nelle zone di montagna si studia e si approfondisce di meno, perché le dure condizioni di vita del passato hanno orientato l’attenzione più sugli aspetti materiali che su quelli immateriali. E i giovani più motivati allo studio se ne vanno perché soffrono la carenza di stimoli.
Testimoni cercansi
Nelle comunità è altrettanto necessario sviluppare professionalità e competenze: abbiamo bisogno di persone che osino sperimentare il possibile. Senza testimoni che sviluppino esperienze nuove non si potranno valorizzare le specificità del territorio.
In Trentino, per esempio, il turismo invernale è ormai un prodotto maturo ed è urgente esplorare altre specificità. Le nuove tecnologie, per esempio, permetterebbero di promuovere centri di formazione avanzata anche in luoghi isolati, lontani dal frastuono delle città e capaci di favorire altre modalità di studio. In Europa esistono da tempo iniziative del genere. Si potrebbero sperimentare ulteriori iniziative anche nel terziario avanzato e nel sociale.