Organismo cresciuto dal basso, per lo più nelle pieghe del Sae, l’Osservatorio scaturisce dal documento del 2015 Contro la violenza sulle donne: un appello alle Chiese cristiane in Italia, promosso dalle donne e sottoscritto da rappresentanti di dieci Chiese cristiane.
È un’aggregazione spontanea, dal basso, frutto del desiderio di rompere il silenzio sulla responsabilità delle religioni tutte, non solo quella cristiana, in merito alla violenza sulle donne. Da qui l’attributo “interreligioso”: donne credenti, in risonanza con la forza interiore che la fede dona, hanno tessuto la tela del protocollo d’intesa.
«Tra di noi – spiega l’ideatrice e attuale coordinatrice Paola Cavallari, responsabile del Sae bolognese – alcune sono anche responsabili di associazioni, come Dora Bognandi, presidente della Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei), ma lo spirito con cui ci siamo aggregate è un entusiasmo incondizionato “a partire da sé”. L’accordarsi tra noi, semplicemente, in quanto donne credenti e nel rispetto massimo delle differenze, ci pone in una posizione di grande libertà. Riaffermiamo il superamento delle polarità presente nelle categorie della teologia femminista: tutte pensiamo e sappiamo e agiamo. Le femministe musulmane, con competenza esegetica, coniugano il Corano e la dignità delle donne;. anche molte ebree offrono una lettura esegetica del testo sacro che smonta pregiudizi patriarcali, e in tal senso il Coordinamento delle teologhe italiane offre da anni un ottimo contributo».
L’originalità dell’Osservatorio è la prospettiva religiosa. Le associazioni di donne che contrastano la violenza di genere operano in prevalenza da posizioni agnostiche: alcune guardano al neonato Osservatorio interreligioso con scetticismo, altre con benevola curiosità che rasenta l’apprezzamento.
«Siamo un microcosmo che rispecchia in parte il mondo multiculturale dell’Italia di oggi – precisa Paola Cavallari –: esprimiamo una molteplicità di origini territoriali e di tradizioni diverse. La nostra scommessa è quella di essere pratica vivente di teologia del dialogo interreligioso, laboratorio di intersezione, raccolta ed espressione dei volti dell’incontenibile mistero del divino. Donne che cercano con simpatia ed empatia di dare dimora a donne umiliate ed essere un punto di riferimento nel mondo religioso per contrastare la violenza sulle donne».
Nell’infuocato confronto sulla “famiglia naturale”, innescato lo scorso marzo dal Congresso mondiale di Verona, il primo atto dell’Osservatorio interreligioso è stato… a difesa della laicità.
Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne
Due tratti essenziali
Credere in noi. Abbiamo sete e fame di giustizia, ma per essere sfamate e dissetate è necessario credere in noi, dare valore alle nostre intelligenze del cuore e al nostro sentire; parlare “a partire da sé” senza tacere le offese subite in ogni ambiente, compreso quello religioso.
Osservare, con discernimento e autonomia. Per una donna non è un gesto scontato. Nella storia della cultura del patriarcato le donne sono state per lo più guardate, rappresentate, raffigurate. Al verbo “osservare” si potrebbe aggiungere “giudicare”, un compito della mente caro a Hannah Arendt. Le sue analisi sulla banalità del male lo testimoniano. Assumere consapevolmente l’autorità di osservare e giudicare a partire dalle proprie prospettive di donne è un atto di non poco rilievo.