Il 13 marzo 2013 Bergoglio venne eletto Vescovo di Roma.
Il papa venuto «quasi dalla fine del mondo» ha salutato i fedeli, dalla Loggia della Basilica di San Pietro con un augurio predittivo: “ora, cominciamo questo cammino: Vescovo e popolo”.
Da allora lo ha ripetuto innumerevoli volte.
E numerose sono foto lo ritraggono “in cammino”, verso i fedeli o fra di loro.
Anche l’inaugurazione dei lavori per il Sinodo sull’Amazzonia rientrano in questa visione di Francesco come “papa in cammino”.
L’etimologia greca di syn-hodos, letteralmente “camminare insieme” è stata fusa con la scelta di concentrare l’attenzione della Chiesa universale su una regione remota, apparentemente lontana sia geograficamente che culturalmente, eppure chiaramente appartenente a quel “tutti” che troppo spesso è dato per scontato.
E così, con la spinta di papa Francesco nel mettersi in cammino e venirsi incontro, la “dimensione costitutiva della Chiesa” si è fatta realtà concreta. Non in un posto qualsiasi, ma in Amazzonia: luogo insieme fisico e teologico. Una regione da sempre messa alla prova dalle grandi sfide con cui l’umanità e il pianeta sono chiamati a confrontarsi: dal modello economico alla capacità di gestione politica, fino alle relazioni sociali e culturali. Cuore e polmone del mondo, l’Amazzonia è una parte vitale della totalità. In questo senso Francesco in Querida Amazonia la definisce “anche nostra”.
Anche il ricordo del cardinale Gianfranco Ravasi sul primo incontro con Jorge Mario Bergoglio ha l’immagine di un cammino, o meglio, una camminata. Era un piovoso pomeriggio di mercoledì 13 marzo 2013 e il futuro Papa Francesco «stava attraversando la sontuosa Sala Ducale con la sua scenografia barocca: fu lì che ci incrociammo e ci fermammo a parlare, procedendo e passeggiando poi nella successiva imponente Sala Regia». Da lì «saremmo entrati nella Cappella Sistina, ove insieme agli altri cardinali elettori partecipavamo al Conclave». Ravasi racconta che fu Bergoglio «a rievocare il filo personale che ci univa e che era per me ignoto. L'incontro implicito - prosegue - era avvenuto proprio a Buenos Aires attraverso le mie pubblicazioni, due in particolare, un “duplice commento” al lezionario domenicale e soprattutto il vasto commentario che nel 1979 avevo elaborato su uno dei libri più sconvolgenti e misteriosi della Bibbia, quello di Giobbe». Questa divagazione su uno dei testi più celebri dell'Antico Testamento, «anche a livello culturale oltre che popolare, fa già intuire l'interesse e la sintonia tematica dell'allora arcivescovo argentino». Bergoglio aveva tenuto un intero corso su quest'opera «così alta, drammatica e teologica, capace di dare voce al respiro di dolore che sale incessantemente dalla terra al cielo». Nel suo percorso in quelle pagine così roventi «Bergoglio riconosceva di aver avuto come compagno di viaggio proprio il mio commento e, quindi, indirettamente anche me, senza che ci fosse stato un incontro esplicito».
Questi stralci sono un ricordo affettuoso e accorato tratto da una bellissima lettera del cardinal Ravasi a Bose. Un grazie sincero per un pontificato che tutti noi viviamo come un grande dono di Dio.
Per celebrare questi sette anni, condividiamo di cuore le parole del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti: «Santità, Le vogliamo dire grazie. Per le parole, per il tono delle Sue parole, per il continuo cercare di spingersi verso il cuore dell’umanità ferita e redenta. Grazie per l’attenzione che costantemente rivolge alle persone che fanno fatica».
E grazie per camminare sempre a fianco di tutte e tutti. Anche in questi giorni di silenzio, grazie per le sue parole. E per i suoi passi.