In due mesi un appello di Livia Turco ha aggregato un movimento di donne che, nelle loro molteplici differenze, convergono su temi salienti per orientare l’Italia che riprende a camminare dopo il blocco imposto dalla pandemia. In centinaia ci siamo incontrate online il 27 luglio per avviare un’azione politica indispensabile a evitare che tutto ricominci “come prima”.
Quali passi ci attendono in questa tessitura epocale?
Il 26 agosto a Central Park (New York) è stata inaugurata una statua della scultrice Margareth Bergmann, la prima dedicata a tre donne, Sojourner Trouth, Susan Anthony ed Elizabeth Cady Stanton, suffragette che sono il volto dell’altra storia: a più di settant’anni dalla prima Convenzione sui diritti delle donne, che aveva avuto luogo a Seneca Falls nel 1848, nel 1920 veniva ratificato il 19° emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America che riconosceva alle donne il diritto di voto in tutto il territorio federale. È passato dunque esattamente un secolo e, se questo in America è motivo per un riconoscimento ufficiale, vuol dire che questo secolo non è passato invano.
Un’altra storia
Nel nostro Paese ci sono voluti altri ventotto anni per raggiungere il suffragio universale, e riconoscere così la soggettualità politica delle donne. Quanto ancora ci vorrà perché alla retorica dei monumenti che celebrano guerre e sopraffazioni si cominci finalmente a contrapporre la memoria dell’altra storia, quella dei diritti civili? Una storia che è andata avanti senza armi né genocidi, senza devastazioni, massacri, stupri di massa. Una storia che ha visto in prima fila le donne perché, finalmente, avevano preso consapevolezza politica della più odiosa delle discriminazioni, quella sessuale, e della più subdola delle violenze, quella di genere.
In questi decenni le donne hanno conquistato il diritto all’istruzione, alla salute, al lavoro, al voto. Il loro rapporto con la politica è stato ed è, però, ancora molto complesso. Sarebbe lungo analizzarne i motivi. Sta di fatto che il femminismo postula una rivoluzione sistemica anche dell’organizzazione del potere, ma chi abita i palazzi del potere, spesso perfino se si tratta di donne, non è in grado di assumerne le istanze o, più semplicemente, non vuole farlo: ci sono radicalità a volte difficilmente conciliabili con le logiche di compromesso dell’azione politica, ma ci sono anche privilegi che, alla fin fine, fanno rapidamente dimenticare le iniziali spinte ideali.
Donne e politica: un rapporto complesso
Il femminismo non è riducibile soltanto a un movimento di riforme sociali: ha maturato una sua specifica visione del mondo ma anche un’approfondita comprensione delle dinamiche di esclusione-inclusione, dei loro fondamenti teorici e, soprattutto, della loro funzionalità rispetto alla conservazione di un assetto sociale, tanto iniquo quanto millenario, che a buon motivo è stato chiamato “patriarcato”.
Per questo, forse, i decenni che ci separano dalle conquiste iniziali sono costellati da numerosi tentativi di dare vita ad azioni politiche significative e prolungate, a movimenti di opinione o di protesta, a gesti di denuncia o a prese di posizione pubbliche, ma si ha sempre l’impressione che il mondo delle donne resti solo delle donne, non diventi mai criterio per scelte politiche ed economiche effettivamente inclusive. Nel “palazzo”, ma anche nelle piazze, la forza delle donne resta confinata nell’occasionale. Ci vuole tempo, certo, per una maturazione collettiva che impone ben più di un semplice ribaltamento degli equilibri di potere perché postula una vera e propria rifondazione democratica. Per questo bisogna continuare a tentare, bisogna accettare che una tessitura epocale chiede di non darsi per vinte, di aggiungere tentativo a tentativo.
Non darsi per vinte
L’esperienza ci dice che le istanze e le esigenze delle donne che sono emerse in questi anni sono tante, tutte decisive, molte irrinunciabili, e ad esse hanno dato voce numerosi movimenti e parecchie associazioni: censirli farebbe vedere quanto la coscienza politica delle donne è ormai arrivata a maturazione. La drammatica situazione ingenerata dalla pandemia, poi, ha ulteriormente acuito la consapevolezza di urgenze non più derogabili. Anche, però, della necessità di fare quanto fin qui non si è riuscite a fare: compiere un’azione politica in grado di superare il frazionamento, stabilire alleanze tra movimenti e associazioni, lasciare da parte ciò che divide e dare vigorosamente corpo a ciò che unisce perché diventi l’onda d’urto di cui ormai il Paese ha bisogno. Un’onda che può venire solo dalle donne. Mettersi insomma Dalla Stessa Parte.
Non significa pretendere che tutte vengano “dalla nostra parte”. È difficile da far capire, anche perché grande ancora è la zavorra di diffidenza che blocca l’azione politica delle donne. È una “parte” da costruire insieme, a partire da quanto già ci unisce e che questi decenni di storia ci lasciano in eredità. Ed è tanto. Le donne cattoliche, almeno quelle di una certa età, dovrebbero sapere bene cosa significa e cosa comporta. È stata la lezione di Giovanni XXIII che ha spinto la Chiesa fuori dalle secche di secoli di contrapposizioni e di ostilità proprio perché ha chiesto a tutti i cristiani di liberarsi di ciò che li divide e di prendere forza da ciò che li unisce, tra loro e con tutti gli uomini e le donne «di buona volontà». E i nemici del Concilio lo confermano giorno dopo giorno: se si vuole fermare la storia basta insistere su ciò che divide.
Insieme alle “donne di buona volontà”
L’interesse che una rivista come Combonifem mostra per questo progetto impone, infine, ancora un’ultima riflessione. Una delle tre suffragette a cui è dedicato il monumento di Central Park è Elizabeth Cady Stanton, sconosciuta forse al grande pubblico ma non ai teologi cristiani che sanno molto bene che a lei e al suo gruppo di donne viene ufficialmente ricondotta la nascita dell’esegesi femminista delle Scritture ebraiche e cristiane. Per le protestanti americane di fine Ottocento impegnate nella lotta per i diritti era del tutto chiaro infatti che, per legittimare la subordinazione delle donne, il patriarcato aveva potuto contare sull’efficace sostegno delle Chiese e sull’interpretazione misogina delle Scritture che si era andata imponendo lungo la millenaria tradizione cristiana.
Ora come allora, per una trasformazione radicale del nostro tessuto sociale è assolutamente indispensabile l’apporto delle donne credenti. Si tratta di un’affermazione che richiederebbe ben altro approfondimento, ma basta guardare ai timidi e spesso maldestri tentativi da parte delle istituzioni, sia politiche che ecclesiastiche, di dare visibilità alle donne per capire che ci sarebbe bisogno di ben altro. E, forse, anche nelle Chiese i tempi sono maturi perché le donne si mettano Dalla Stessa Parte, attestino con forza che c’è molto che le unisce – come direbbe oggi Giovanni XXIII – alle tante donne “di buona volontà” che lottano perché l’altra storia venga ormai allo scoperto e divenga patrimonio comune. Nella nostra memoria, di donne a cui potremmo erigere monumenti ce ne sono già molte.
#Dallastessaparte è un’azione nata sull’onda dell’emergenza, per evitare che un maschilismo ottuso e imperante condizioni l’Italia che esce dall’emergenza covid-19. Il nostro è un Paese ancora marcatamente patriarcale, ma la pandemia ha offerto, per la prima volta, una forte rappresentazione pubblica delle donne: le mediche, le infermiere, le scienziate, le assistenti sociali…
Entro #Dallastessaparte convergono donne che hanno posizioni molto diverse su certi temi, ma le nostre differenze, anche profonde, non ci impediscono di avere la stessa voce su temi prioritari per la rinascita dell’Italia: quale politica ambientale, welfare, scuola, lavoro… vogliamo realizzare?
Noi aderenti a #Dallastessaparte siamo orientate alla concretezza: per questo abbiamo scelto di procedere con i laboratori: per garantire una partecipazione trasversale e inclusiva.
La sostenibilità, intesa anzitutto come tutela ambientale, è certamente un discrimine: la pandemia ci ha fatto capire che non siamo padroni del pianeta e dobbiamo convivere con gli altri esseri viventi. La sostenibilità oggi costituisce gli occhiali con cui guardare al mondo: è una questione antropologica. Non siamo persone in relazione soltanto con altre persone, ma anche in relazione con altre forme di vita e di materia. Noi umani siamo soltanto una parte di questo pianeta e dobbiamo imparare a rispettare tutte le altre.