Anche quest’anno San Valentino fa parlare di sé.
Giornali e telegiornali, mercati ed eventi. Tutti si mobilitano per la festa degli innamorati. Per la festa dell’amore.
Ma quale tipo di amore stiamo festeggiando?
Oggi più che mai penso a chi l’amore viene negato. E al suo posto sperimenta solo violenza e vergona.
Sono tanti i paesi del mondo dove si pensa ancora che l’amore sia, più che un comandamento, un comando, al quale la donna deve sottostare senza possibilità di scelta.
In Kirghizistan, ad esempio, 1 matrimonio su 5 avviene attraverso il rapimento della sposa. Nel 2016 (ultimi dati disponibili) il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione aveva denunciato che il sei per cento delle spose al di sopra dei 15 anni era stato rapito.
Nonostante la pratica sia stata dichiarata illegale da anni, l’“ala kachuu” (letteralmente “prendi e fuggi”) rimane un’usanza diffusa e socialmente accettata. Questo soprattutto perché, da un lato le donne non conoscono i loro diritti e il fatto che anche una volta rapite, possono tornare a una vita normale e possono anche denunciare i mariti. Dall’altro gli uomini riconoscono il rapimento come usanza, e non come crimine quale invece è.
Le donne rapite spesso si rifiutano di sposare l’uomo che le ha catturate e per questo vengono violentate. Poiché la famiglia le ripudia, le donne, prive di sostegno, possono accettare la situazione o provare a fuggire. Poche scelgono la seconda.
Anche perché, nonostante nel 2012 le pene siano state più che raddoppiate, da tre a sette anni, e poi a dieci, chi dovrebbe prevenire il fenomeno lo fa di rado.
Dal 2017, però, a fianco delle donne c’è Open Line, un membro attivo del movimento nazionale UNiTE to End Violence Against Women coordinato da UN Women in Kirghizistan, che ha sviluppato un'applicazione mobile e una guida legale su come cercare supporto nei casi di rapimento di una sposa.
Inoltre sta cercando di educare ragazzi e ragazze, donne e bambini ad un amore consapevole e condiviso, alla parità dei diritti e della facoltà di scelta.