La scommessa femminista è di mutare «modo d’essere» del pensiero e «modo d’essere» della vita. È una rivoluzione, allo stesso tempo, simbolica e materiale. La via maestra di questa rivoluzione sono, per Carla Lonzi, le relazioni. Sono le relazioni che vanno modificate per cambiare la realtà, la società con le sue strutture, le sue regole, i suoi fini. Nelle relazioni si gioca la possibilità stessa di vivere ed operare nel mondo. E sono in gioco tutte le relazioni, quelle con le donne, (l’altra da sé) e quelle con gli uomini (l’altro da sé). Se si perde questo nocciolo, si perde tutta l’originalità di Lonzi.
È infatti attraverso le relazioni che Carla Lonzi ha intrapreso il percorso del venire a coscienza della differenza femminile. Traendo, come dice, «tutto da me» (Taci, anzi parla, p. 74). Ovvero da quanto le risulta in prima persona. Un percorso che le ha consentito di divenire soggetto, senza negare autenticità al suo, singolare, «modo di essere». Mettendo fine all’ostilità fra il proprio sé e il mondo, da cui muove l’angosciosa domanda: sono io pazza, o è il mondo che è insensato? Quello che Lonzi intraprende è tutt’altro che un percorso privato, intimista. È la sola via per andare nel mondo con padronanza e libertà. Una via lungo la quale la donna ri-significa «femminile», ovvero storia, cultura, identità a cui è stata assegnata.
Potremmo dire che riattraversa, decostruisce e modifica quell’essenza che è stata il destino delle donne. L’ethos della femminilità che confuta in Sputiamo su Hegel: cura, famiglia, corporeità. Ma questa è impresa affatto diversa dal recupero dei valori della femminilità. Se il conflitto è con la civiltà dell’opera, la scommessa è di costruire un mondo meno ostile ed estraneo alle donne, mettendo in primo piano le relazioni tra soggettività differenti, invece della produzione di oggetti. Per una donna, infatti, fallire le relazioni equivale a fallire il proprio principio di piacere e di realtà. Nel Manifesto di Rivolta femminile e in Sputiamo su Hegel, testi fondativi del femminismo, Lonzi ha dovuto concentrare il discorso, in modo pressoché esclusivo, sulla differenza femminile e sulle relazioni tra donne. E ha dovuto confutare il patriarcato, togliendo credito al pensiero maschile. Soprattutto alle teorie rivoluzionarie che lo hanno acquisito tra le donne, offrendo loro una prospettiva di emancipazione e liberazione.
Grazie al femminismo, e alle mutate relazioni tra donne, costruite nei gruppi di autocoscienza, Lonzi può andare oltre e rivolgere la sua attenzione ai rapporti con gli uomini. Può chiedersi se e come sono stati modificati dal femminismo. Se e come la coscienza femminile abbia aperto lo spazio a relazioni differenti. Al centro di Vai pure e Armande sono io! vi è il rapporto con l’uomo. Il presupposto da cui muove è che non è più il rapporto, necessario per la realizzazione di sé, in quanto donna. La donna non è più la costola d’Adamo, venuta al mondo per tenere compagnia, accudire e sostenere l’uomo. È iniziata la sfida della «vita tra i due sessi»: così la definisce in La donna clitoridea e la donna vaginale (p. 95). Nella sessualità come nella politica, nelle relazioni personali in quelle pubbliche. Ed è sfida sui modi della relazione, come sui contenuti. Nell’uno e nell’altro piano investe il desideri o e il piacere, le rappresentazioni e le pratiche. muCrisi di virilità La mossa decisiva è spostare l’uomo dal suo centro. «Alterare» il suo modo d’essere, destituirlo dal ruolo di protagonista. A partire dal riconoscimento della coscienza femminile, come principio differente di piacere e di realtà. Come è annunciato nel Manifesto: «dopo questo atto di coscienza l’uomo sarà distinto dalla donna e dovrà ascoltare da lei tutto quello che le concerne» (p. 11).
Subito dopo, con preveggenza, viene scongiurato il possibile esito catastrofico della presa d’atto, da parte degli uomini, della propria parzialità: «Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione» (ibidem). (…) Le donne si sono rivolte a se stesse, hanno costruito relazioni tra loro, si sono ritirate dal terreno della condivisione di idee, interessi e progetti con l’altro sesso. Non hanno più fatto «coppia», nella famiglia, nella sessualità, nella politica, nella cultura, nella produzione delle opere. È questo lo spostamento decisivo che è avvenuto con la presa di coscienza femminile. Ma anche l’uomo deve ritirarsi dal terreno della complementarità, per costruire su un altro piano la relazione con la donna. Questa mossa della differenza maschile tuttora latita. Talvolta si mostra, per poi appannarsi di nuovo. È il passaggio in cui siamo. Lonzi lo indica già nell’82 come il passaggio necessario perché il femminismo non si trovi in stallo, impossibilitato a procedere. Nell’intervista a «Quotidiano donna» (maggio ’81) si chiede:
Perché ci si ferma, noi donne di fronte a questo? Perché non si capisce che questo è un nuovo inizio? Ci si ferma nel mondo delle donne. Ci si ferma nello stare tra donne. Ma non ci si sposta nella sfida ad andare, a fare il corpo a corpo con l’altro. Non serve il dissidio costante, non serve la rivendicazione.
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