“Mio marito mi picchiava. Speravo che avrebbe smesso di farlo dopo la nascita di nostra figlia e invece non è stato così. Quando mi ha cacciato di casa non ho potuto fare altro che tornare a vivere con i miei genitori, ma la loro situazione economica non era semplice. Io e mia figlia eravamo un peso per loro”. Si è sposata giovanissima, Chomdonna, a 14 anni appena. I suoi genitori, come spesso succede nei villaggi più poveri nel Sud del Bangladesh, hanno combinato il suo matrimonio quando era ancora bambina per “alleggerire” il bilancio familiare.
Perché una figlia data in sposa è una bocca in meno da sfamare. Perché più bassa è l’età della sposa, più bassa sarà la dote da corrispondere alla famiglia dello sposo. Ma soprattutto: le figlie femmine, una volta sposate, entrano a far parte della famiglia del marito; mentre i figli maschi, una volta adulti, con le loro mogli continueranno a prendersi cura dei genitori quando questi diventeranno anziani.
Chomdonna, però, oggi sorride. L’abbiamo incontrata nel villaggio di Chucknagor, assieme a una decina di altri uomini e donne. Madri e padri di giovani donne che, come lei, hanno fatto una scelta coraggiosa, sfidando uno dei tabù più radicati in questi villaggi. Chomdonna, infatti, ha lasciato la casa dei suoi genitori, si è trasferita a duecento chilometri di distanza, ha imparato a usare una macchina da cucire e lavora in una fabbrica tessile. Guadagna abbastanza denaro con cui riesce a mantenere la figlia e gli anziani genitori, uno stipendio vero, che le viene corrisposto tutti i mesi, Ha potuto persino prestare del denaro al fratello, con cui ha avviato una piccola attività commerciale.
Chomdonna ha raggiunto Gazipur, uno dei principali poli manifatturieri, a una trentina di chilometri da Dacca- nell’ambito del progetto “Jukta Hoe Mukta” promosso da Terre des Hommes Italia che ha come obiettivo quello di promuovere percorsi di migrazione sicura per le giovani dalit (appartenenti alla casta più bassa) e bengalesi dei villaggi del distretto di Khulna.
Ragazze che sfidano gli stereotipi
Lasciare i villaggi, però, non è facile. La paura diffusa tra le famiglie è che le ragazze possano essere vittima di tratta: in questo senso, la garanzia fornita da Terre des Hommes aiuta a dissipare i timori. Ci sono poi altri “freni”, legati questa volta al timore che le ragazze, una volta lasciate sole, possano “comportarsi male” (“bad girls” è la locuzione più usata) e in qualche modo rovinare la reputazione della famiglia. E anche quando i genitori si convincono a dare il proprio benestare per la partenza, arrivano commenti e giudizi da parte degli altri abitanti del villaggio.
Per queste donne l’inserimento lavorativo arriva solo dopo il divorzio: il lavoro rappresenta una risposta a un momento di crisi. Tranne qualche raro caso, il lavoro non viene visto come opzione preventiva o alternativa al matrimonio precoce per risolvere i problemi della famiglia. Rappresenta l’estrema ratio da adottare in un momento di profonda crisi.
Nel volgere di pochi mesi, i guadagni delle ragazze impiegate nelle fabbriche tessili di Gazipur hanno permesso alle famiglie d’origine di migliorare le proprie condizioni di vita: c’è chi ha comprato una mucca, chi ha investito nella costruzione di una casa in muratura al posto di una fragile capanna di canne. Chi ha potuto ripagare i debiti o le spese mediche di un genitore malato. O aiutare un parente nell’avvio di un’attività lavorativa con un prestito. “Prima della partenza di mia figlia vivevamo in una casa di canne e oggi abbiamo costruito una casa vera, con i muri di mattoni”, ci dice una donna dai capelli grigi.
Come cambia lo sguardo dei genitori
Ma c’è un altro impatto, più difficile da calcolare in termini concreti, che si ritrova nelle parole di quei padri che, adesso, parlano delle proprie figlie con rispetto. “Mia figlia si è sposata a 17 anni: per dieci anni suo marito ha picchiato lei e mia nipote. Ora si sta separando dal marito e per me riprenderla a casa è stato uno sforzo, perché non ho molti soldi. Ma ho sempre cercato di fare il meglio per i miei figli”, spiega Krisnomo Podo Das, un uomo sulla cinquantina, che abbiamo incontrato nel villaggio di Tala. Quando ha saputo del progetto “Jukta Hoe Mukta” inizialmente era scettico, temeva che la figlia potesse essere sfruttata o diventare vittima di tratta, così ha chiesto di poter andare a Gazipur a controllare che tutto fosse a posto: “Oggi, grazie al Terre des Hommes mia figlia riesce a mantenersi e mandarmi dei soldi, che uso per il mantenimento e lo studio di mia nipote. Sono molto orgoglioso di mia figlia, se lei può lavorare fuori casa, perché le altre donne non possono farlo?”.