Nel 2017 noi mamme abbiamo preso coscienza che i nostri figli e figlie erano avvelenati, contaminati dall’acqua che usciva dai nostri rubinetti. L’acqua che per noi era sorella, pura, limpida e preziosa, conteneva mostri invisibili, i Pfas, sostanze perfluoroalchiliche che si accumulano nel sangue creando innumerevoli danni.
Ce lo ha rivelato lo screening attivato dal piano di sorveglianza sanitaria: controllava il sangue di tutti i nostri ragazzi e ragazze ed erano tutti e tutte pesantemente contaminati. Che fare? Ci siamo guardate in faccia e abbiamo deciso di non tacere: siamo uscite dalle nostre case e ci siamo coalizzate per la difesa del diritto alla salute e alla vita, del diritto a vivere in un ambiente pulito e sano.
Mamme NoPfas
Eravamo e siamo mamme che lavorano: chi impiegata, chi infermiera, chi insegnante. Abbiamo però iniziato a essere cittadine partecipi, coscienti di un ruolo e di uno spazio di democrazia che la cittadinanza ha ma che spesso delega. Era evidente che il disastro ambientale che travolgeva le nostre famiglie era anche conseguenza di istitu-zioni politiche che non avevano saputo tutelarci, ma anche di noi, cittadini e cittadine, che non eravamo state sufficientemente attente e partecipi. Dall’inizio ci hanno chiamate “mamme NoPfas” e siamo molto attente a mantenere questa caratteristica: essere mamme e donne che agiscono con fermezza ma senza aggredire, che parlano con il cuore ma sanno anche ascoltare e tacere e, soprattutto, non prendono facili scorciatoie. L’esperienza ci ha fatto vedere che questa modalità di azione è vincente, perché siamo state ricevute da tutti senza intermediari e abbiamo sempre trovato molto rispetto e considerazione.
Con l’appoggio del Papa
Il nostro gruppo operativo è costituito da una cinquantina di persone, molto diverse tra loro ma animate dalla certezza che bisogna difendere il nostro ambiente. Anche per questo ci ritroviamo nella Laudato si’ di papa Francesco che, ancora nel 2017, ci ha scritto: «Vi incoraggio a proseguire con pazienza e perseveranza nel cercare le vie buone per la soluzione del problema». Lo abbiamo incontrato in udienza nel giugno del 2019 e lo vorremmo invitare in Veneto appena sarà possibile.
Insieme contiamo
Lungo la nostra strada abbiamo vissuto momenti difficili e dolorosi, ma anche momenti di gioia. Abbiamo incontrato sorelle e amiche, abbiamo tessuto legami d’affetto, di amicizia, di rispetto, di consapevolezza. Siamo in tante a volere le stesse cose e, grazie alla fiducia reciproca che ci unisce, siamo andate a bussare a tutte le porte delle istituzioni per tutelare i nostri diritti.
All’inizio abbiamo incontrato difficoltà, ma pian piano la nostra azione, educata, persistente e documentata, ha fatto aprire tante porte, anche le più inaspettate. Abbiamo così scoperto che insieme contiamo. Oggi siamo considerate ufficialmente una realtà di presenza che chiede i diritti dovuti, come la salute e l’acqua pulita. Il nostro vescovo ci ha definite «una realtà istituzionale», perché le istituzioni non possono più ignorarci. In effetti le abbiamo incontrate tutte, a tutti i livelli, da quelle locali a quelle nazionali; e anche quelle internazionali dell’Unione Europea. Tutte ci hanno dato ascolto.
Risultati raggiunti e da raggiungere
I primi risultati sono stati a livello regionale, con la definizione di limiti molto stringenti per i Pfas e l’introduzione di filtri a carboni attivi per togliere questi subdoli veleni dall’acqua che arrivava nelle nostre case. Oggi c’è una nuova condotta che preleva l’acqua “potabile” da fonti pulite. Ecco perché il 2021 è un anno importante! Finalmente, nelle nostre case entrerà acqua proveniente direttamente da sorgenti pulite, e non saranno più necessari i filtri per puri-ficare quella della falda contaminata. Tuttavia c’è ancora molta strada da fare. Lavoriamo per tenere alta l’attenzione, affinché la falda locale, ancora contaminata, venga bonificata. L’acqua, infatti, non ha confini; scorre. E se è avvelenata farà danno dappertutto.
Altro obiettivo che ci siamo prefissate è di ottenere limiti nazionali per i Pfas: limiti pari a 0. Attualmente nel Veneto ci sono limiti allo sversamento di tali sostanze nelle acque di scarico, ma non esistono ancora a livello nazionale, e le aziende possono farlo impunemente.
Questione politica
Abbiamo constatato che la politica è soggiogata all’industria che pone il ricatto “salute o lavoro” anche ai propri dipendenti. È un ricatto che denunciamo: non è accettabile che le aziende avvelenino i propri dipendenti e territori per produrre cose che continuano ulteriormente a inquinare. L’industria deve essere sana e produrre cose “buone”, altrimenti non serve. L’etica deve tornare a guidare le scelte aziendali e la politica deve guardare al bene della cittadinanza; bene comune, di cui deve prendersi cura.
Per questo è necessario che dalle fabbriche esca acqua che non avveleni la nostra “casa comune”, la Terra. Dobbiamo lasciare in eredità ai nostri figli e figlie, a nipoti e pronipoti, un pianeta sano; dobbiamo promuovere un’agricoltura che generi prodotti alimentari sani e far sì che l’acqua che irriga i campi e che disseta gli animali non sia contaminata.
Mai da sole
Nel corso del tempo il nostro impegno ci ha fatto incontrare tante associazioni dedite alla tutela dell’ambiente e con molte di loro abbiamo stretto rapporti di collaborazione e condivisione. Nel 2019 siamo state invitate a Taranto per la grande manifestazione del 1° maggio; da quell’incontro è nata l’idea di una rete nazionale di donne che abbiamo chiamato “Mamme da Nord a Sud”: riunisce 42 associazioni che si occupano di tutela ambientale.
Siamo tante piccole gocce che unite formano l’oceano e, come diceva Madre Teresa di Calcutta, se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno.
La piccola goccia è anche la nostra speranza di continuare l’opera meravigliosa di Dio: essere strumenti di creazione. Quindi, sempre avanti! Se si condividono obiettivi e si lavora insieme per il bene comune, i risultati sicuramente arriveranno.
Cosa sono i Pfas?
Le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) sono composti chimici utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua una varietà di materiali: tessuti (Gore-Tex), tappeti, moquette, carta, contenitori per alimenti; servono anche per schiume antincendio, per pitture e vernici, per fissare il rivestimento delle pentole antiaderenti e per rivestimenti antipolvere nell’elettronica, come i microfoni dei telefonini. Ma ricorrono anche nella produzione di cosmetici e di alcuni farmaci. Hanno usi molteplici, grande diffusione ma pochissima biodegradabilità. In Italia la prima grave contaminazione da Pfas risale a prima del 2010 in provincia di Alessandria, ma oggi questi veleni si trovano anche nei ghiacci del Polo Nord: ve ne è traccia ovunque.
Il 17 marzo 2010 la Commissione europea raccomanda di monitorarne la concentrazione e di introdurre limiti di legge e, in Italia, nel 2013 l’Istituto Superiore di Sanità indica l’urgenza di «adottare adeguate misure di mitigazione dei rischi, prevenzione e controllo». I Pfas, assorbiti per ingestione e inalazione, si legano alle proteine del plasma. Non essendo metabolizzati, si accumulano nel sangue, nel fegato e nei reni e possono causare ipercolesterolemia, ipertensione in gravidanza, malattie della tiroide e alterazioni ormonali, colite ulcerosa e tumori del rene e del testicolo.
Veneto: il caso “Miteni”
Il 29 maggio 2013 la Regione Veneto riceve i dati di uno studio commissionato dal governo italiano: concentrazioni «preoccupanti» di Pfas contaminano le acque potabili di alcuni Comuni superando i 2.000 ng/l. L’inquinamento sarebbe anteriore al 1977, perché un’azienda, prima come Rimar (gruppo Marzotto) e poi come Miteni spa, produceva composti fluorurati dalla metà degli anni Sessanta.
Il 4 luglio 2013 la Regione fa installare filtri per le acque potabili, e limita la contaminazione a 500 ng/l: pozzi e falde con livelli superiori sono chiusi. I filtri, cambiati ogni 4 mesi con un costo di circa 600.000 euro annui, sono tariffati in bolletta agli utenti. Denunciata all’autorità giudiziaria, la Miteni, primaria ma non unica fonte di contaminazione, tratta 2,2 milioni di metri cubi d’acqua eliminando, entro il 2017, 45 chili di Pfas. Nel 2017 il Veneto riduce a 390 ng/l i limiti di Pfas nelle acque potabili.