Il prossimo 4 maggio, per l’Algeria sarà tempo di elezioni legislative per il rinnovo dell’Assemblea nazionale del popolo. A fine marzo sono state depositate le liste dei candidati e delle candidate e a inizio aprile è cominciata la campagna elettorale.
Sono proprio i manifesti elettorali, però, ad aver scatenato una polemica dentro e fuori i confini del Paese nordafricano: i cartelloni, infatti, indicano i nomi dei candidati uomini con a fianco una foto che ne riproduce il volto, ma non identificano le candidate donne. Ai nomi delle donne spesso viene accostato un avatar vuoto: un ovetto bianco ricoperto con lo hijab, il velo tradizionale islamico.
La partecipazione femminile alla politica algerina ha iniziato ad evolversi dal 2011, quando il sistema elettorale ha previsto delle quote di partecipazione riservate alle donne: obbligando i vari partiti a presentare, nelle loro liste elettorali, delle candidate donna in una percentuale che va da un minimo del 20 per cento a un massimo del 50. Nonostante l’ordinanza avesse provocato numerose proteste, soprattutto da parte dei deputati uomini, la novità aveva portato a buoni risultati e, nel 2012, le donne elette all’Assemblea erano passate dal 7 al 31 per cento.
In seguito alla divulgazione di questa precauzione elettorale, però, alcuni partiti hanno ideato altre strategie per rendere più complessa l’elezione delle candidate donne: dal proporle per ruoli precisi per i quali non sarebbero mai state elette, al censurarne i volti o i nomi.
Anche quando Fatma Tirbakh, candidata algerina del Fronte Nazionale per la Giustizia Sociale (Fnjs), partito nazionalista fondato nel 2012, è stata invitata dall’emittente Ennahar TV ad intervenire sulla questione non si è mostrata con il suo viso, ma ha parlato usando un avatar vuoto. Nel suo discorso ha spiegato che le ragioni di tale scelta provenivano dalla sua famiglia, che aveva insistito perché la sua immagine non venisse mostrata in televisione. «Poter vedere la mia foto è una cosa importante, credo – confessa la candidata – ma provengo da una regione meridionale. Onestamente parlando, è estremamente conservatrice… è per questo che la mia foto non viene usata».
Il suo discorso, mandato in onda attraverso un immagine vuota, ha mosso nuovamente le autorità elettorali del paese che, lo scorso lunedì 17 aprile, hanno condannato questa pratica proclamandola illegale e concedendo ai partiti 48 ore di tempo per modificare i manifesti, pena la cancellazione dalle liste. «Questo tipo di violazione dei diritti è pericoloso, non è legale e si oppone a tutte le leggi e a tutte le tradizioni. È diritto di ogni cittadino sapere per chi sta votando», ha affermato Hassan Noui dell'autorità indipendente per il monitoraggio delle elezioni.
In realtà, oscurare il volto di un candidato non è solo una violazione dei diritti di chi vota, ma, in primis, una violazione dei diritti di uguaglianza tra donne e uomini. Il fatto che in Algeria le politiche di uguaglianza di genere non siano né sostenute né sviluppate, è dimostrato anche dal Global Gender Gap Report del 2016, che posiziona il Paese al 120esimo posto su 144. L’indagine quantifica le disparità di genere in vari paesi del mondo in base a quattro criteri: economia (salari, partecipazione e leadership), salute (aspettative di vita e rapporto tra sessi alla nascita), istruzione (accesso all’istruzione elementare e superiore) e politica (rappresentanza).
La speranza, allora, è che a cambiare non siano solo i manifesti elettorali, ma, soprattutto, la consapevolezza e l’accettazione dei diritti di genere.