Dopo 15 anni in Italia per specializzarsi in oncologia e ginecologia, ha deciso di tornare in Somalia, e oggi si divide tra il suo lavoro di medico in un ospedale di Mogadiscio e la sensibilizzazione delle donne anche attraverso l’attività dell’associazione da lei fondata.
È la storia di Asha Omar Ahmed. “L’angelo di Mogadiscio”.
È tornata nel suo Paese con l’obiettivo di spiegare l’importanza dell’igiene e della profilassi e per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili. «Il rientro a Mogadiscio – racconta all’Agenzia Dire – è stato molto difficile, così come lavorare per l’integrazione e convincere le donne ad un nuovo stile di vita».
La Somalia ancora oggi è uno tra i paesi con il maggior numero di donne morte di parto in conseguenza della pratica delle mutilazioni genitali, a cui sono sottoposte quasi il 98% delle bambine fra i 3 e i 7 anni.
Ancora oggi, parlare di queste pratiche suscita diffidenza e chiusura, sia perché ogni tema relativo alla sessualità è spesso considerato tabù, sia perché per molte donne e uomini è la prima volta che si mette in dubbio una loro tradizione. Il primo passo, racconta ancora Asha, è spiegare alle persone i rischi e le conseguenze delle mutilazioni, di cui spesso non sono a conoscenza.
Da qui nasce Save our mothers, un’associazione che mette nero su bianco le gravi condizioni fisiche che accompagnano tutta la vita delle donne in seguito alle mutilazioni, e spesso ne sono causa di morte. Le pratiche sono ancora diffuse perché molte persone non ne conoscono le conseguenze. Ecco perché molti percorsi di empowerment si sono sviluppati in Africa, ma anche in Italia, proprio con questo obiettivo.
Ma il cambiamento è in atto. Prendiamo Rahel, una ex tagliatrice tanzaniana, che oggi si batte per abolire questa tradizione e gira il mondo per testimoniare quanto la pratica sia dannosa.
È una testimonianza, per il popolo africano e per tutti, che è la voglia di cambiare che permette di cambiare.