Nel delineare il progetto di Italia che verrà, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza, «delude le aspettative delle donne ma anche i propri propositi di mobilitare le energie femminili ripercorrendo schemi e politiche già viste».
La riflessione è di Susanna Camusso, responsabile delle Politiche di genere della Cgil. Nel Piano, la parola donna/donne è usata ben 61 volte, la parola cura circa 40: una nozione, quella della “cura”, che dovrebbe essere associata a un’idea di politica basata sull’interdipendenza e sulla relazione attraverso cui i generi (al plurale!) e le generazioni possono ridisegnare un nuovo modo di stare al mondo, ma di questa lettura nel Pnrr non v’è traccia.
Affiora invece l’idea a secondo cui le donne, pur essendo statisticamente la maggior parte della popolazione, pur essendo più laureate degli uomini e anche con voti più alti, debbano essere sempre considerate come un «gruppo sociale vulnerabile» da includere con dispositivi specifici.
Un risultato per certi versi scontato, dal momento in cui le donne hanno partecipato in misura ridotta all’elaborazione stessa del progetto.
Un Piano straordinario con risorse imponenti - l’Italia è il Paese che ha chiesto di più: 191,5 miliardi di euro, con 68,9 miliardi di sovvenzioni e 122,6 miliardi di prestiti - avrebbe dovuto puntare a risultati ambiziosi e significativi per l’occupazione femminile come «prendere a obiettivo il tasso medio europeo che si attesta oltre il 60% a fronte del 49% italiano - spiega Camusso - e provare a incidere anche dal punto di vista culturale per spazzare via quelle dinamiche che alimentano l’emarginazione e la segregazione delle donne dai e nei luoghi di lavoro».
Invece, quelle misure che dovrebbe incidere anche sull’aspetto culturale, sono completamente assenti sia nel Piano che nel lessico usato per redigerlo: si continua infatti a parlare di conciliazione nonostante ormai da anni da più parti si chiede che si parli e si operi per la condivisione del lavoro di cura.
Lo smart working per le donne impiegate nella pubblica amministrazione, ad esempio, viene considerato come misura a sostegno della conciliazione, sottintendendo quindi che siano sempre le donne a dover occuparsi dei figli. E che il lavoro da remoto possa permettere loro di farlo in modo più agevole. Quando il congedo di paternità obbligatorio, che sarebbe una misura culturalmente davvero dirompente, viene solo aumentato a 10 giorni. Ma siamo ancora molto lontani dalle 16 settimane spagnole, dai modelli scandinavi, ma anche ai 28 giorni francesi.
Nonostante le tante parole, il ruolo marginale delle donne persiste, nel piano che dovrebbe rilanciarne e promuoverne il ruolo cruciale. Tecnicamente i governi hanno tempo fino al 31 agosto del 2023, quindi circa un paio d’anni, per tornare sui propri passi e chiedere una revisione del Pnrr alla Commissione, anche se per farlo dovranno consegnare un documento aggiornato che ne giustifichi nel dettaglio le decisioni e i costi.
C’è ancora un po’ di tempo per ripensarci. Ci auguriamo possa essere sufficiente.