L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce le Mutilazioni genitali femminili (Mgf) «forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche».
Esistono diversi tipi di mutilazioni che, semplificando, possono essere ricondotti a due: l’uno prevede il taglio o la rimozione di parti dei genitali femminili; l’altro, meno diffuso, è la cosiddetta infibulazione, che può anche prevedere il taglio dei genitali ma principalmente restringe la vagina e impedisce o rende dolorosi i rapporti sessuali.
Normalmente si interviene prima dello sviluppo puberale, senza alcuna finalità terapeutica: le Mgf sono violente forme di controllo patriarcale sul corpo delle donne, le quali vengono esposte a seri rischi di salute (vedi grafica) e complicanze che implicano notevoli costi per i sistemi sanitari.
Radici profonde
Le Mgf sono una questione culturale. In alcuni Paesi costituiscono una vera e propria norma sociale, cosa che rende più difficile per i singoli scegliere di non praticarle. Potrebbe infatti derivarne emarginazione della persona o della famiglia che sceglie di rifiutare la pratica. In determinati luoghi le Mgf sono associate alla “moralità” di una ragazza: chi non vi si sottopone raramente convola a nozze. Da notare che non si tratta di una pratica religiosa, sebbene in alcuni casi le Mgf vengano considerate tali.
Cifre allarmanti
Quantificare il fenomeno in modo preciso è piuttosto complesso: viene rilevato in modo abbastanza sistematico solo in determinati Paesi, che sono anche quelli presumibilmente più colpiti.
Secondo stime accreditate, nel mondo almeno 200 milioni le ragazze e le donne sono state sottoposte a questa pratica e secondo l’Oms sono a rischio di mutilazione ogni anno circa 3,4 milioni di bambine e ragazze.
Distribuzione ineguale
È l’Africa la regione a maggior incidenza, seguita dal Medio Oriente. La pratica delle Mgf risulta presente anche in altri Paesi asiatici e sudamericani, dove però mancano statistiche attendibili. Nel resto del mondo è più rara; in ge-nere ricorre in alcune comunità di immigrati.
Secondo stime dell’Unicef, in Africa è prevalente «in 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia), e in Sudan il fenomeno tocca praticamente l’intera popolazione femminile. In altri 4 Paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale». In Ciad, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Kenya e Liberia essa coinvolge tra il 30 e il 40% della popolazione femminile, mentre nei restanti Paesi la diffusione è inferiore al 30%.
Anche in ambulatorio
Negli ultimi anni, per evitare rischiosi sanguinamenti e infezioni, si assiste alla medicalizzazione delle Mgf, che vengono svolte da personale medico in ambiente sterile. L’aspetto critico di questo cambiamento è che le mutilazioni, perpetrate con il crisma della professionalità, vengono “normalizzate” e, di conseguenza, diventano più difficili da estirpare soprattutto dove sono già largamente diffuse.
E in Italia?
In Italia il fenomeno, presente in alcune comunità di immigrazione, è quantitativamente contenuto ma non trascurabile. Secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), sono a rischio tra il 15 e il 24% delle 76.040 bambine e ragazze che provengono da Paesi in cui le Mgf sono praticate.
Da un punto di vista legislativo, le Mgf sono una forma di violenza che viola l’integrità fisica della persona; perpetrate su minori, costituiscono una grave violazione dei Diritti umani. La lotta alle Mgf è già presente nella strategia europea per la parità di genere e diversi Paesi la perseguono. Anche se effettuate all’estero, in Italia dal 2006 le Mgf sono punite penalmente. Mancando però uno specifico monitoraggio, non è chiaro quali effetti reali la legge abbia avuto nel contrastare la pratica.