Mi chiamo Carmen González, sono missionaria comboniana dal 1969, e dal 1971 ho vissuto in vari Paesi dell’America Latina, condividendo la mia vita e la mia fede con un popolo gioioso, pieno di speranza e di vita. Dal 2001 al 2011 sono rimasta in Spagna, mio Paese di origine, per un servizio alla congregazione. Sono stati anni di grande dinamismo e discernimento perché ci siamo sentite chiamate a rivedere e valutare la nostra vita in risposta ai cambiamenti della società, della missione e anche della nostra congregazione.
Entro la riflessione, durata anni, è emersa la necessità di “ridisegnare” la nostra presenza, dando priorità a “essere missione” in un modo più consono alle mutate esigenze. Il processo è stato molto impegnativo e talvolta anche doloroso. Per le province d’Europa, la Direzione generale ha suggerito che il “ridisegnare” potesse diventare piuttosto “unificare tre provin-ce”, ovvero Gran Bretagna, Spagna e Portogallo; impresa alquanto complessa per le differenze culturali e linguistiche fra le tre nazioni.
Darsi il tempo di “fare unione”
Il primo passo è stato quello di incontrarsi come “referenti” delle tre province, perché dovevamo anzitutto valutare e vagliare la necessità di “fare unione”. Nel succedersi di diverse riunioni abbiamo esaminato pro e contro, difficoltà e opportunità, fino a raggiungere un consenso. Per la contrazione delle vocazioni missionarie e per l’avanzare dell’età, le nostre comunità soffrivano tutte di una progressiva riduzione di numero e di energie, mentre avevano in comune finalità, servizi missionari e stile di presenza: l’unione sembrava auspicabile, ma le lingue diverse (inglese, spagnolo e portoghese) costituivano un ostacolo da non sottovalutare. In parte lo abbiamo risolto adottando come lingua comune l’italiano, che la maggior parte di noi conosce perché è la lingua di origine della congregazione.
Un secondo passo è stato quello di realizzare un programma di informazione e sensibilizzazione in modo che tutte le comboniane delle tre province avessero parte attiva nel processo. “Fare unione” non poteva essere frutto di imposizione: la riflessione che noi “superiore” avevamo avviato doveva coinvolgere almeno la maggioranza delle suore. A tal fine abbiamo promosso incontri trasversali per ambiti di servizio: delle missionarie impegnate nell’animazione missionaria della Chiesa locale; di quelle coinvolte nell’accogliere persone migranti; e anche di quelle preposte a coordinare le diverse comunità in Gran Bretagna, Spagna e Portogallo. A loro volta le assemblee, che a cadenza annuale sono momento d’incontro, valutazione, riflessione e programmazione delle suore di una stessa provincia, hanno accolto anche rappresentanti delle altre due. Questo processo si è protratto dal 2005 al 2008, quando sono diventata la prima superiora della Provincia Europa.
Resistenze e timori
Rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, quando le comunità di Suore missionarie comboniane erano nate in Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, l’Unione Europea aveva rimosso dal 1993 le frontiere fra Stati e le pratiche per ottenere visti e permessi di soggiorno; anche le diverse monete si erano unificate, almeno quelle confluite nell’area euro (che non includeva la Gran Bretagna). Eppure, raggiungere un consenso non è stato facile, anzitutto perché unificare percorsi separati costituiva una novità: era la prima volta che accadeva in congregazione e già questo suscitava resistenze. C’era poi chi temeva una “perdita di identità” della propria provincia di appartenenza e chi prospettava una complicata gestione dell’economia. Anche la scelta della nuova sede provinciale ha sollevato questioni, insieme al problema della conoscenza delle diverse lingue: chi avrebbe potuto cambiare comunità per svolgere il suo servizio nella stessa “provincia” ma in un’altra nazione? Le difficoltà ci sono state, e non sono state poche, ma sono state risolte strada facendo.