Mi chiamo Chiara Bertocco, ho 23 anni e vivo in provincia di Padova. Nel 2016 sono stata in Uganda con un gruppo di giovani. Abbiamo trascorso tre settimane a Lira e abbiamo visitato Gulu.
Mi ha colpito l’ospitalità della gente: mi sono sentita amata da loro sebbene non mi conoscessero. Ogni incontro era casuale, eppure mi ha lasciato il desiderio di vivere intensamente ogni giorno. Per abitudine tendo a mettere tutto in schemi prestabiliti, ma questa esperienza ha cambiato il mio modo di impostare la vita. Ora preferisco lasciarmi sorprendere dalle persone.
In realtà il viaggio mi ha cambiato ancor prima di partire, perché in questa scelta non sono stata appoggiata dalla mia famiglia. Comunque ho sentito che era importante per me, e sono andata.
Aver vissuto un’esperienza positiva mi ha confermato fino in fondo: nelle scelte della vita non si deve tanto cercare l’approvazione altrui quanto seguire l’ispirazione profonda che ci matura dentro.
Sono Beatrice Fresco, ho 30 anni, vivo a Padova e da quattro anni frequento il gruppo Gim, Giovani impegno missionario. Nel 2016, con padre Maurizio Balducci, comboniano, abbiamo trascorso tre settimane in Uganda.
L’esperienza è stata intensa, con emozioni vere e gioia piena. All’inizio ho avvertito un forte senso di inadeguatezza. Mi sono chiesta: cosa ci faccio qui? La risposta che ho trovato è stata: non ci faccio, ci sto!
È decisamente più importante “essere” che “fare”. Forse per il retaggio del passato, noi dell’Europa quando arriviamo in Africa vogliamo subito insegnare e costruire, ma porsi anzitutto accanto alle persone è il dono più grande che possiamo offrire e lasciarci offrire. Ho vissuto un tempo di attesa e di pazienza, e ho sentito molto la vicinanza con le persone, a prescindere dal tornaconto. La semplicità di bambini e bambine è disarmante: sono felici con delle comunissime bolle di sapone, mentre qui in Italia quello che hanno non basta mai. E da quando sono rientrata dall’esperienza, guardo in modo diverso chi viene dall’Africa: noi siamo stati accolti in Uganda, ma quanto e come siamo a nostra volta accoglienti?
Nonostante i miei soliti impegni, ho imparato a godere della presenza di chi è con me e ho prestato servizio accanto alle ragazze vittime di tratta.
Mi chiamo Elena Ovidi e vivo a Padova. Ho 27 anni, sono laureata in Giurisprudenza e attualmente lavoro nell’ambito del diritto dell’immigrazione.
Nel 2016, con il Centro missionario diocesano di Trento, sono stata un mese in Uganda, a Kotido, in Karamoja. A Gulu, nel distretto Acioli, abbiamo trascorso soltanto qualche giorno.
È stata una rivelazione incontrare i missionari e le missionarie comboniane, perché con loro il Vangelo va davvero a braccetto con la promozione umana. In Karamoja i servizi di base, per noi scontati, non ci sarebbero senza la loro presenza.
Una suora mi ha anche aiutato a comprendere che è importante salvaguardare la dignità delle persone: il sistema assistenzialistico non aiuta, perché genera solo dipendenza.
La fede che ho visto è forte e dà frutti concreti; in me ha rafforzato la passione per l’interculturalità: ho imparato a non dare niente per scontato, a meravigliarmi e a ringraziare per la diversità delle culture.
L’esperienza in missione ha anche alimentato il mio desiderio di spendermi nell’ambito dell’immigrazione e mi ha permesso di conoscere la Famiglia comboniana, con cui, al mio rientro, ho iniziato a Padova un percorso per giovani, il Gim.