Mi chiamo Margherita, ho 22 anni e sono laureata in Scienze politiche. Per puro caso nel 2017 ho incrociato il Gim di Venegono e da lì non me ne sono più andata. Ho incontrato testimoni di vita vera e i miei nuovi amici sono diventati famiglia.
La mia grande avventura comincia proprio a marzo scorso, tre giorni dopo la laurea: Milano – Istanbul – Entebbe – Bunia e poi la destinazione finale, Mungbere, villaggio nella Repubblica democratica del Congo. Ho sempre sognato di scoprire quel mondo che sembrava così distante e Mungbere, finalmente, mi aspettava proprio nel bel mezzo della foresta.
Cronache di viaggio
Dopo due voli internazionali e poche ore di sonno, arrivo a Entebbe, in Uganda. Mi indicano un punto dell’aeroporto dove qualcuno verrà, prima o poi, a chiamarmi per l’imbarco. Sono le due di notte e appoggio le braccia sul tavolo cercando di non addormentarmi, ma ogni volta che chiudo gli occhi la mia testa cade. Quando la rialzo, una decina di passeggeri, in attesa nel mio stesso luogo, sono già sull’aereo. Momento di panico: loro partono, io rimango a terra. Mi calmo quando uno steward mi invita a rimanere al bordo della pista e aspettare ancora. Finalmente atterra un aereo veramente piccolo, forse per non più di dieci persone. Una di quelle sarò io. Il resto dello spazio è occupato dal pilota e da scatoloni di medicinali per l’ospedale nella foresta.
Dall’alto osservo la natura, così rigogliosa, e il fiume, che sembra così piccolo. Poi crollo. È solo il rumore dell’atterraggio che mi risveglia: ci siamo davvero!
Mungbere
Il sole e la terra rossa sono i due nuovi elementi del mio corpo. Quando vivi nella giungla, solo la luce del giorno permette di definire spazio e tempo. Quando mi sveglio sono le 5 di mattina, perché è a quell’ora che fanno gli allenamenti di calcio davanti casa. Il canto delle ragazze pigmee, che abitano proprio dietro la mia stanza, è forte e coinvolgente. Hanno un dono meraviglioso: riescono a trasformare poche banali parole in un canto dalle mille tonalità.
Inizio a esplorare il villaggio: cammino per piccoli sentieri che attraversano grandi canneti e incontro bambini, donne e uomini. Ognuno di loro ha una particolarità e nel tragitto li saluto tutti. Alcuni ricambiano, altri ridono. I più piccoli, spaventati dalla mia pelle così chiara, corrono a nascondersi tra le gambe della loro mamma, che scoppia a ridere.
Missione fra i pigmei
Padre Franco Laudani, comboniano, è da oltre quarant’anni con i pigmei. Mi porta in uno dei loro accampamenti nella foresta, dove lo accolgono come un papà che torna a casa dopo tanto tempo; eppure non lo vedevano che da qualche ora. Padre Franco ha avviato scuole per promuovere l’integrazione di questo popolo, la cui dignità brilla nel Vangelo.
Un popolo ai margini
In genere, i pigmei sono disprezzati dai popoli bantu. Eppure sono abili cacciatori: con archi e frecce si procurano la selvaggina, hanno una grande manualità e, soprattutto, sono persone allegre. Amano danzare e cantare, e spesso lasciano il proprio accampamento per festeggiare con altre comunità pigmee, anche in villaggi lontani. Questa nota di convivialità mal si concilia con la necessità di coltivare i campi, curare la casa e andare a scuola. Per questo motivo, è importante che questo popolo libero sia coinvolto nei villaggi con le altre etnie, e l’istruzione diventa punto di incontro: permette a ragazzi e ragazze pigmee di relazionarsi con coetanei bantu e dimostrare il proprio valore. Devo ammettere che per far “stare a scuola” un popolo così libero, ci vuole davvero tanto impegno, pazienza e insistenza.