Martedì, 30 Agosto 2022 20:55

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il... gas

L’intervento di Mario Draghi alla Cop26, Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, esprimeva l’urgenza di intraprendere una coraggiosa e rapida transizione energetica dalle fonti fossili alle rinnovabili “verdi” per arginare il disastro climatico. Decine di miliardi di dollari erano già disponibili e Draghi auspicava un imminente «salto quantico». Da allora, però, la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina e la situazione è molto cambiata

Le implicazioni energetiche della guerra in Ucraina hanno indotto un ripensamento degli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo. In effetti il piano REpowerEU, che la Commissione europea ha presentato il 18 maggio 2022 per ridurre la dipendenza dell’Ue dal gas russo, risulta ambivalente: da una parte invita ad accelerare la transizione energetica per affrancarsi dal gas e dai condizionamenti geopolitici di tutti i Paesi che lo producono (non solo la Federazione Russa) e dall’altra incoraggia nuovi investimenti nelle fonti fossili, allo scopo di aumentare i quantitativi di gas disponibili nei Paesi fornitori alternativi alla Russia.

ENERGIA CERCASI, DISPERATAMENTE
L’urgenza di colmare il deficit energetico già causato dalla riduzione dei flussi di provenienza russa ha spinto a negoziare accordi con altri Paesi produttori. Nei mesi scorsi è stato sottoscritto il memorandum della Commissione europea con Egitto e Israele per le riserve di gas nel Mediterraneo orientale; il governo italiano ha stipulato un accordo con Azerbaigian e Algeria per aumentare entro il 2022 la fornitura di gas attraverso i gasdotti Tap e Transmed rispettivamente; con Egitto, Repubblica del Congo, Angola e Mozambico i progetti si concentrano invece sulla fornitura di Gas naturale liquido (Gnl), che ha costi economici e ambientali molto più alti perché implica liquefazione, trasporto su nave e rigassificazione ai terminali di arrivo.

FALSA SOLUZIONE
Per esportare più gas, questi Paesi ne devono anche aumentare la produzione, potenziando le proprie infrastrutture.
Ne deriva che i tempi di realizzazione, stimati in un paio di anni, non garantiscono all’Italia alcuna sicurezza energetica per il prossimo inverno e, per ripagare gli investimenti necessari, vincolano per decenni i nostri acquisti di gas: il contratto con il Qatar addirittura per venti, e gli altri contratti, non resi pubblici, per tempi ignoti.

Oltre a non rispondere tempestivamente al fabbisogno di energia, la maggioranza di questi progetti replica in Africa l’approccio coloniale: estrae risorse dai Paesi e rende la loro economia dipendente dall’esportazione di combustibili fossili, i cui profitti spesso arricchiscono governi corrotti.
Questi accordi, pertanto, hanno effetti disastrosi per noi, per il clima e anche per i Paesi fornitori.

AFRICA: DAL GAS ALL’ENERGIA “PULITA”
La guerra in Ucraina ha già causato gravi effetti a livello mondiale: le risorse devolute alla gestione dell’emergenza bellica rischiano di essere sottratte ai fondi europei per la cooperazione e lo sviluppo dei Paesi africani, già afflitti dagli effetti della pandemia e adesso ulteriormente gravati dall’insicurezza alimentare e dall’inflazione.

Per sostenere la transizione energetica nei Paesi africani e al contempo garantire la sicurezza energetica in Europa, Ecco ha proposto di sostenere l’installazione di fonti rinnovabili in Egitto e Algeria per coprire parte del loro fabbisogno interno e permettere loro di destinare più quote di gas all’esportazione in Europa. È una partnership strategica che però non garantisce tempi brevi e neppure certi: se i governi non riformano le loro leggi e non snelliscono i passaggi burocratici, la realizzazione avrà tempi lunghi anche perché si devono mobilitare investimenti privati per finanziare la costruzione degli impianti fotovoltaici e per adattare la rete elettrica.

Una maggiore produzione di elettricità da fonti rinnovabili richiede infatti interventi sulla rete per gestire le fluttuazioni tipiche delle rinnovabili, per loro natura soggette a variazioni di disponibilità. Per esempio, occorre investire in sistemi di accumulo per stoccare elettricità nei momenti in cui essa è maggiormente disponibile (nel caso dell’energia solare, durante il giorno) in modo da poterla utilizzare in momenti successivi.

IL DRAMMA DELL’INERZIA POLITICA
Gli interventi tecnici necessari per dismettere le fonti fossili e adottare diffusamente l’energia solare ed eolica sono molteplici e rendono alquanto incerte le tempistiche di attuazione perché la transizione implica la trasformazione dell’intero “sistema” di produzione e distribuzione dell’energia. Per questo motivo molti governi, tra cui quello italiano, preferiscono continuare a investire nel gas anziché procedere in modo più incisivo nell’adozione di fonti rinnovabili, nonostante esse siano oggi molto più economiche del gas. È proprio la mancanza di volontà politica, oggi, il maggior freno alla transizione.

Di questo passo, sarà sempre più difficile raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Green Deal europeo, che fissano la neutralità climatica (ovvero l’abbattimento a zero delle emissioni inquinanti) al 2050.

RAZIONAMENTO IN VISTA?
Il prossimo inverno il rischio di dover razionare l’energia è reale, perché le iniziative che mirano a diversificare le forniture di gas hanno bisogno di più tempo per coprire il nostro fabbisogno.
L’unica soluzione nell’immediato è una drastica riduzione dei consumi, ovvero l’impegno condiviso e diffuso al risparmio energetico.

Alcune iniziative sono già in atto in altri Paesi dell’Ue: per ridurre il trasporto privato, la Germania offre un abbonamento mensile per il trasporto pubblico, treno compreso, a 9 euro al mese, mentre in Spagna il trasporto pubblico è gratuito per tre mesi. L’Italia, invece, ha preferito sovvenzionare il carburante con un intervento a pioggia che non tutela le fasce più bisognose e non incoraggia a ridurre i consumi.

DALLO SPRECO ALLA SOBRIETÀ
L’urgenza vera è quella di mettere in discussione lo spreco di energia per poter gestire in modo efficace il deficit energetico che incombe: i margini di risparmio ci sono e le buone pratiche possono essere incentivate.

Per limitare la circolazione di auto private si potrebbe introdurre la domenica ecologica, già in voga negli anni Settanta. Porre limiti alle temperature di condizionamento e riscaldamento e spegnere di notte le insegne dei negozi sono altre opzioni immediatamente realizzabili.

La sfida è educativa e implica di cambiare l’attuale modello di sviluppo, a cominciare dalla stessa dieta alimentare, perché già ridurre il consumo di carne permette di contenere il fabbisogno di energia e anche quello di grano (in gran parte destinato agli allevamenti intensivi), contribuendo quindi anche ad affrontare l’emergenza alimentare.
Il momento opportuno per crescere in sobrietà è questo!

Last modified on Martedì, 30 Agosto 2022 21:13

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