Matriarcato, termine da chiarire
Parlare di matriarcato non significa semplicemente sostituire il patriarcato con il matriarcato, si tratta invece di ripercorrere un cammino di interpretazione della storia passata in vista di una storia futura totalmente altra da quella che conosciamo fino ad oggi. Parlare di matriarcato, nell’ambito di un’archeologia sia sociale che religiosa, significa innanzitutto riscattare il sapere economico, politico, sociale e culturale di quelle società gestite e sostenute da donne. In principio c’erano le madri, sia come generatrici di vita sia come presenza attiva nella costruzione di società pacifiche, radicate nei valori materni di cura e di sostegno dell’esistenza di donne e uomini, animali e piante. Le società matriarcali generavano un’economia di relazione: le donne erano custodi dei beni e della loro ridistribuzione, mentre gli uomini erano occupati nella caccia e nella difesa dei territori, usando strumenti di difesa e di morte. Le donne si prendevano cura delle persone, per lo più dei piccoli e degli anziani che restavano al villaggio. Non solo dovevano conoscere la commestibilità dei frutti della terra ma anche le proprietà delle piante medicinali, e coltivare e custodire la terra. Si trattava dunque di un sapere esperienziale e di cura del corpo e dell’anima che abita la vita.
Il Neolitico è testimone di società non gerarchiche a discendenza matrilineare. La casa era il centro in cui convergevano le differenti energie sociali; luogo del processo decisionale ma anche formativo-culturale, spazio della tradizione narrativa di saperi diversi, da madre a figlia, da anziana a giovane. Un sapere colto persino dalla natura. La metodologia politica era quella del consenso, e anche lo spazio esterno era “casa del Mistero”. Sembra dunque normale che in una simile realtà emerga un divino femminile, una “Dea” e non un “Dio” a immagine dei maschi.
Ispirazione per il presente
Lettrici e lettori forse si domanderanno perché fare memoria di società così lontane e differenti dalla nostra. A me questo appare prezioso perché ci ricorda che, in quanto donne, è doveroso recuperare il passato e reinterpretarlo. Non si tratta di partire da zero o arrampicarci sugli specchi per sostenere nuove ipotesi, ma di recuperare quell’esperienza che con il passare del tempo è stata ignorata, diventando assolutamente inedita. La memoria dell’esistenza di società pacifiche, dunque non violente anche nei confronti dell’ambiente, dissipa l’ignoranza nelle donne e negli uomini di oggi, giovani e meno giovani. È sapienza recuperata dalle tracce del passato, in un momento storico in cui certi atteggiamenti sembrano soffrire di antiche epidemie maschiliste. Significa anche riuscire a superare una lettura della storia passata vista solo da chi pensa di essere l’unico a poterla gestire, ispirando anche nuove visioni per il futuro. Ma l’importanza di questa memoria è soprattutto mostrare al mondo contemporaneo la pratica socio-politica delle donne, ovvero di coloro che non solo sono nate donne ma lo sono diventate – come direbbe Simone de Beauvoir – nelle loro più intime e reali trasformazioni; una pratica molto diversa da quella che ha imperato fino ad oggi, spargendo violenza, morte, distruzione, esclusione e gerarchizzazione della società e della vita.