Mi chiamo Laura e dal 2000 sono Suora missionaria comboniana. Originaria di Marnate, un paesino nella provincia di Varese, dopo un periodo in Ciad e in Germania vivo da undici anni in Sudafrica, nel quartiere di Mamelodi, a circa 26 chilometri dal centro di Pretoria.
Tre giorni la settimana svolgo servizio come coordinatrice del Sinodo diocesano, iniziato lo scorso anno; altri due lavoro come persona di riferimento al campus di Mamelodi dell’Università di Pretoria. È un’iniziativa della facoltà teologica dell’ateneo per accompagnare le organizzazioni e le Chiese cristiane che operano in questa periferia per il bene e lo sviluppo integrale della comunità attraverso immersione urbana, competenze di leadership, ricerca, documentazione e condivisione di informazioni, e advocacy per la trasformazione.
Quello che mi aveva attratto della vita comboniana era il desiderio di comunicare l’amore che Dio mi aveva donato gratuitamente, la passione e la vicinanza di Comboni ai poveri, la missione in Africa. All’inizio la mia visione della missione era un po’ idealizzata, ma, con il tempo, le esperienze di missione in Paesi e continenti diversi, gli incontri con le persone e soprattutto il cammino spirituale hanno trasformato il mio essere comboniana.
Oggi, nel servizio che svolgo in Sudafrica mi accompagna questa frase di Lilla Watson: «Se sei venuto per aiutarmi, stai perdendo tempo. Se sei venuto perché la tua liberazione è legata alla mia, allora camminiamo insieme». Credo che indichi un programma molto chiaro, ed è così che cerco di vivere il mio servizio, mettendo da parte il voler “aiutare” e cercando di camminare insieme, a fianco delle persone, alla pari, in una dinamica del dare-e-ricevere, rimanendo aperta allo Spirito.
Nel corso degli anni si è consolidata in me la certezza che la spiritualità intesa come incontro e relazione con il Dio-Trino non può essere separata dalla missione. Lo stesso stile comboniano ce lo insegna: Daniele Comboni ha infatti saputo coniugare spiritualità (contemplazione) e missione. Le Regole da lui redatte nel 1871, i suoi numerosi scritti e anche le testimonianze su di lui rivelano quanto egli abbia vissuto in modo inseparabile “contemplazione” e “missione”.
Io mi sento chiamata a vivere sempre più concretamente, in complementarità e mutualità, queste due dimensioni del nostro essere comboniane. Sento che sono inscindibili in Comboni, e anche in noi comboniane: contemplative e missionarie.
L’incontro con Dio non può essere “fabbricato”: si rivela in libertà e presuppone apertura e attenzione da parte nostra. Per questo l’incontro può avvenire solo se “perdiamo” tempo e “ruminiamo” la Parola. La spiritualità è un cammino di trasformazione personale e sociale che non mira alla perfezione ma alla pienezza propria e altrui.
È proprio l’unicità dell’esperienza di incontro e relazione con Dio che alimenta l’unicità della relazione con gli altri e le altre.
Se non vogliamo rimanere superficiali, è tempo di riscoprire questo modo di essere, altrimenti rischiamo di continuare a “fare molto”, a vivere di slogan che possono farci sentire “speciali”, ma a “non essere” e soprattutto a “non essere come Comboni ci voleva”.
Il servizio e la missione nascono dal silenzio e dalla contemplazione!