Scoprirci inadeguati di fronte a nuove sfide, che si moltiplicano e si accavallano talvolta in modo anche caotico, non deve indurci alla passività né alla rassegnazione. Occorre una maggior consapevolezza di ciò che accade e una conseguente assunzione di responsabilità. Non si tratta di buonismo a basso costo, ma di uniformarsi all’insegnamento e all’esempio di Gesù di Nazaret, sforzandoci di compiere la volontà del Padre, come docili strumenti della provvidenziale azione dello Spirito che opera incessantemente in noi e attorno a noi. Questo lo dico in primo luogo come cristiana ma anche con la consapevolezza che, oggi più che mai, è importante costruire ponti e il dialogo è uno di questi.
Sanare percezioni distorte
È innegabile che, almeno a livello emotivo e talvolta superficiale, nell’opinione pubblica siano i musulmani, e in particolare le donne musulmane, a essere percepite come la nuova realtà religiosamente connotata, più problematica e spesso minacciosa. Il travaglio di molti dei loro Paesi d’origine e alcuni gravi fatti di violenza registrati anche in Europa e nel mondo intero possono destare legittimi timori e impongono prudenza e discernimento. Una paura istintiva e reattiva, tuttavia, comporta il grande rischio dell’irrigidimento e della chiusura in cerchie autoreferenziali, falsamente rassicuranti e che scoraggiano o inquinano la relazione fra persone e comunità, unica autentica e praticabile via, almeno verso la conoscenza e il rispetto reciproci.
I termini “femminismo” / “femminista”, largamente utilizzati in contesto anche teologico nordamericano e nordeuropeo, hanno sempre incontrato una tenace opposizione in ambito italiano e questo ha favorito una fluttuazione terminologica del tutto inadeguata se non addirittura insidiosa dei termini: femminile, al femminile, “delle donne”. Le ricerche di genere sono ormai di fatto entrate organicamente nelle università di tutto il mondo e possono rappresentare un ambito di indagine a partire dal quale aprire un fruttuoso dialogo.
Quale Corano?
Femminismo e Islām sono due termini troppo spesso e a torto messi in opposizione. Alcune femministe musulmane rileggono oggi i testi islamici con il loro sguardo di donne. Quale può essere il profilo di queste donne? Un percorso che a volte nasce prima dall’impegno a conoscere, in maniera sempre più approfondita, la loro appartenenza religiosa e che spesso poi le porta a impegnarsi non solo per i diritti delle donne ma anche in ambito politico. È interessante notare che questo percorso è trasversale sia in Europa che nei Paesi d’origine.
Mi sentirei di segnalare gli studi di Amina Wadud, che afferma il principio dell’uguaglianza femminile e prepara il terreno per un equo trattamento dei generi tramite il metodo di una ermeneutica che valorizzi la responsabilità morale degli individui e l’uguaglianza. Secondo lei, lo studio del Corano richiede dinamicità e impegno, dato che non prescrive una struttura sociale inamovibile e ferma nel tempo per l’uomo e per la donna; al contrario esso contiene il potenziale necessario per far avanzare la società umana verso una collaborazione tra i generi più proficua e soddisfacente rispetto a quella che oggi abbiamo difronte.