Scoperta preoccupante
Per molto tempo è sembrato che i minerali fossero inesauribili, ma, con l’ingresso nell’epoca dell’iperproduttivismo, questa certezza ha cominciato a vacillare. Il problema non è tanto la quantità quanto la concentrazione. Ne sanno qualcosa i cercatori d’oro dell’Amazzonia, che devono setacciare enormi quantità di terra e di acqua per trovare quantità minime del prezioso minerale. E poiché di certi minerali oggi ne servono quantità importanti, solo i depositi ad alta concentrazione sono economicamente sfruttabili. Se assumiamo come riserve i depositi ad alta concentrazione, ci rendiamo conto che alcuni minerali stanno dando segni di scarsità. Fra essi l’argento, lo zinco, il mercurio, il piombo, il rame, il nichel. Per non parlare delle cosiddette terre rare, minerali poco diffusi ma fondamentali per le tecnologie moderne come le energie rinnovabili, le batterie, i catalizzatori, le auto elettriche. Secondo l’organizzazione britannica Innovative UK, i minerali a serio rischio di scarsità sarebbero addirittura una quarantina. Del resto l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) stima che la crescita dei consumi, dovuta all’aumento della popolazione e all’espansione della classe media a livello mondiale, da qui al 2060 farà raddoppiare la quantità di minerali utilizzati. Con preoccupazione non solo per le difficoltà che la scarsità potrebbe creare alla produzione, ma anche per la crescita dei disastri ambientali e sociali che si accompagnano all’attività estrattiva.
Uno “zaino” pesante
Nel mondo sono innumerevoli i conflitti fra imprese minerarie, interessate a espandere le aree sfruttate, e le popolazioni locali, interessate a difendere la propria salute e l’integrità del proprio territorio. In ballo non c’è solo l’alterazione dei paesaggi, la distruzione e l’avvelenamento dei depositi di acqua, la saturazione dell’aria con polveri che procurano ogni sorta di malattie. In ballo c’è anche l’accumulo di enormi quantità di detriti che alterano l’assetto del territorio e dei fiumi. Gli esperti lo chiamano “zaino ecologico”, espressione che si riferisce ai detriti e ai rifiuti che si accumulano durante i processi estrattivi e produttivi. Materiali mossi e impiegati che non compariranno mai nei prodotti finiti, ma che contribuiscono ad alterare l’ambiente. Uno dei minerali a maggior zaino ecologico è l’oro, che per ogni chilo di prodotto finito lascia dietro di sé 540.000 chili di materia smossa e inquinata. Seppur a debita distanza, non scherza neanche l’alluminio, con uno zaino ecologico 1000 volte più alto del metallo finito, né scherza il rame, con uno zaino 750 volte più alto. E ciò che fa impressione è la parte giocata dall’acqua. Nel caso del rame rappresenta il 52% dello zaino ecologico. Nel caso dell’alluminio addirittura il 92%.
Ode al riciclo
Anche per i minerali, come per l’acqua e l’energia, le strade della preservazione sono “sufficienza” ed “efficienza”, ossia sobrietà e riciclo. Pratiche che consentono di contenere non solo i danni al pianeta, e di conseguenza alle popolazioni che vivono attorno alle miniere, ma anche il consumo di acqua e di energia elettrica. Per esempio, l’alluminio riciclato richiede il 93% in meno di energia elettrica e il 97% in meno di acqua rispetto a quello vergine.
Oltre che per l’ambiente, il riciclo dei metalli è buono anche per l’occupazione, di cui però è impossibile fornire numeri esatti, in parte perché sono disponibili solo dati aggregati validi per l’intera industria del riciclo, comprendente anche carta, legname e plastica; in parte perché la prima fase, quella della raccolta, è affollata di lavoro informale. La raccolta di ferrovecchio, per esempio, è sempre stata un’attività rifugio di chi non sa come sbarcare il lunario.
Discariche pericolose…
Vale per un Paese come l’Italia e a maggior ragione vale per i Paesi del Sud del mondo, dove milioni di persone vivono raccogliendo ogni forma di rifiuto riciclabile. Spesso in condizioni indegne, per responsabilità anche del nostro eccessivo consumo di dispositivi informatici. Fra telefonini, stampanti e computer, ogni anno nel mondo si producono oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, per la maggior parte classificabili come rischiosi.