Per il 2025 l’Italia mira a chiudere tutte le centrali a carbone, che sono le più inquinanti: ciò è encomiabile, ma per compensare la ridotta disponibilità energetica che ne consegue ha deciso di investire in gas metano, mentre l’Accordo di Parigi e l’appello dell’Ipcc chiedono di azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050. Gestire una rete elettrica ricorrendo esclusivamente a energie rinnovabili non è banale: per garantire la fornitura in ambito ospedaliero, dove un’interruzione di elettricità diventa letale, è necessaria una combinazione di fonti fotovoltaiche ed eoliche con sistemi di accumulo. L’efficienza energetica sarebbe lo strumento primario per ridurre i consumi e agevolare questa transizione, ma in Italia non è una priorità.
Politica miope
Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima prevede un’intensa e diffusa metanizzazione; addirittura anche in Sardegna. Questo è un grave paradosso: fino al 2040 la nostra “sicurezza energetica” sarà garantita dal gas, e poi? I cospicui fondi oggi a disposizione per la transizione energetica potrebbero essere utilizzati per investire nelle fonti rinnovabili che non producono emissioni climalteranti, ma la miopia politica è paralizzante: non mira a riconvertire le centrali a carbone e petrolio, a bonificare i territori e a promuovere la formazione professionale necessaria a cambiare modello energetico. Eppure, i fondi ci sono e potrebbero davvero permettere di realizzare da subito obiettivi ambiziosi. È il timore di ricadute sociali negative, anzitutto in termini di perdita di posti di lavoro, a impedire questo passo.
Opportunità persa?
Progettare il futuro con lo sguardo rivolto al breve termine impedisce di valorizzare l’adozione di fonti veramente “sostenibili” per avviare anche una sostanziale riconversione industriale, così importante per il rilancio economico. L’Italia è fra i primi Paesi al mondo per energia fotovoltaica, ma esiste soltanto una fabbrica che produce pannelli solari; la potenza generata da impianti eolici è notevole, ma esiste una sola azienda per la rigenerazione delle pale; e la mancanza di certificazione dei nuovi materiali isolanti per edifici “a quasi zero emissioni” ne limita l’uso. Il nostro Paese, purtroppo, viaggia su due binari: da una parte la capacità di innovazione e ricerca dal basso, e dall’altra un governo ripiegato su obiettivi a breve termine, incapace di valorizzare e promuovere le potenzialità esistenti.
Se venissero incentivate le nuove filiere industriali connesse alle fonti rinnovabili e ai nuovi materiali edili per la riqualificazione energetica, l’approvvigionamento di energia sarebbe garantito senza ricorrere alle centrali a gas e l’economia italiana potrebbe ripartire.
Non solo “cittadinanza attiva”
Negli ultimi anni la cittadinanza è diventata più consapevole dell’incidenza del proprio stile di vita sulla sopravvivenza della “casa comune”, ovvero del pianeta Terra, ma non può sostituire le istituzioni nell’orientare le scelte politiche per decarbonizzare l’Italia.
Se la termovalvola per ridurre il consumo energetico veniva pubblicizzata in Germania già nel 2005, era per una chiara scelta di governo: il cambiamento, anche in tempi brevi, è possibile se le leggi obbligano i cittadini ad assumere comportamenti virtuosi, sanzionando chi non si adegua. Ogni emergenza viene risolta se tutte le risorse sono investite per gestirla al meglio. Fronteggiare l’emergenza climatica esige una rivoluzione nel modo di produrre energia, di spostarsi, di costruire gli edifici e di pavimentare strade e piazze. La stessa architettura delle città deve essere ripensata, ricorrendo anche a pareti e tetti verdi.
Questo profondo cambiamento potrà realizzarsi soltanto attraverso scelte politiche coraggiose e lungimiranti. La cittadinanza, certamente, diventa partecipe e si coinvolge attivamente nel cambiamento, ma è la politica che lo deve facilitare. A breve, in Europa ci saranno nuove etichette energetiche per gli elettrodomestici. Lo sforzo di comunicazione per renderne consapevole la cittadinanza non può gravare unicamente sulle associazioni che fanno parte del progetto Label 2020: la transizione energetica ha bisogno di sinergie ben più ampie.
In rapida evoluzione
I progressi tecnologici degli ultimi anni hanno reso le fonti rinnovabili molto più accessibili. Rispetto a 10 anni fa il costo degli impianti solari si è talmente ridimensionato da rendere superflui gli incentivi.
È vero che i pannelli fotovoltaici, con il passare degli anni, perdono efficienza, ma ciò non compromette il vantaggio economico di produrre energia solare. Peraltro, l’obsolescenza limita la produttività di ogni tecnologia, anche delle centrali a gas, e non compromette oltremodo il valore dell’investimento iniziale.
Da notare che rispetto al passato i sistemi di accumulo hanno una capacità e una durata molto maggiori: è il processo di innovazione, innescato dalla loro aumentata richiesta, che permette di produrne di sempre più efficienti. Si stanno esplorando anche batterie a idrogeno e aria compressa, ovvero prodotte da fonti rinnovabili, e a breve non sarà più necessario ricorrere a piombo e litio. Aumentare la capacità di accumulo e la sostenibilità delle batterie diventa di primaria importanza per la transizione energetica: oggi si parla di sistemi autosufficienti con autoproduzione diffusa di energia da fonti rinnovabili e pulite, di comunità e cooperative energetiche, di futuro “100% rinnovabile”, e la ricerca è vitale per realizzare processi di innovazione e cambiamento. In Italia, purtroppo, se ne fa ancora troppo poca.
Buone pratiche dai territori
La Regione autonoma Trentino-Alto Adige rivela come le politiche incidano sulle sorti di un territorio: dove esistono cooperative energetiche locali risalenti addirittura agli inizi del Novecento, come a Dobbiaco e Prato allo Stelvio, il sistema è gestito in loco da cittadini, aziende, famiglie, ovvero dai “soci”, e per loro il risparmio in bolletta ammonta a circa il 30-40% della media nazionale.
Forgreen ed È nostra, invece, sono grandi cooperative energetiche di nuova concezione: diffuse in tutta Italia, permettono alla cittadinanza di produrre la propria energia. Sono nate quando era vietato avviare cooperative territoriali come quelle sopra menzionate. È nostra, molto attenta anche ai risvolti sociali, sta realizzando una campagna per contrastare le truffe sui costi della bolletta a danno delle persone anziane.
Molto interessanti sono anche le aziende agricole 100% rinnovabili presenti in tutte le regioni d’Italia. La cooperativa Arte, in Puglia, produce pasta a partire da coltivazione a rotazione di grani tradizionali, evitando pesticidi e fertilizzanti; tutti i consumi energetici sono coperti da un impianto a biogas alimentato dagli scarti dell’azienda. Arte è un esempio eccellente di economia circolare, perché il biogas, nella sua filiera chiusa, è un ciclo neutro. Infatti, un rifiuto agricolo non riutilizzato e lasciato in discarica oltre alla CO2 emetterebbe anche metano, che è un gas molto più climalterante.
Occhio alla progettazione
Per ogni fonte energetica sussistono caratteristiche peculiari da considerare, per questo ciascun impianto, per risultare davvero “sostenibile”, esige una progettazione molto accurata.
L’energia solare, per esempio, viene utilizzata per due diverse finalità: con impianti di solare termico produce acqua calda sanitaria mentre con il fotovoltaico produce energia elettrica. In base ai bisogni e alla disponibilità di spazio, si opta per l’uno o per l’altro; in caso si disponga di superfici molto ampie, si possono anche integrare i due sistemi, e comunque, utilizzando una pompa di calore, si può scaldare acqua anche a partire da un impianto fotovoltaico.
Paesaggio da preservare?
La necessità di salvaguardare la bellezza di una città d’arte o di particolari paesaggi continua a porre seri vincoli alla diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, in particolare la solare e l’eolica. L’innovazione tecnologica, però, ha fatto progressi: oggi sono reperibili anche tegole fotovoltaiche o pannelli che assumono particolari colori per non alterare il paesaggio. Esistono aziende che realizzano studi architettonici ad hoc e offrono indicazioni specifiche per certe tecnologie energetiche piuttosto che altre.
Non mancano incongruenze su cui riflettere: nel centro di Roma, per esempio, non è possibile installare pannelli fotovoltaici, ma tanti edifici storici, ovvero vincolati dalla Soprintendenza delle Belle Arti, pullulano di condizionatori esterni che ne sfigurano il profilo. Con quale criterio si permettono i condizionatori e si vietano i pannelli solari? Sono certa che la ricerca potrà aiutare a reperire soluzioni anche in questo ambito: tutte le città, prima o poi, anche nei centri storici, dovranno arrivare ad essere “100% rinnovabili”.