Mercoledì, 29 Aprile 2020 19:18

Il “verde” che cura le nostre città

Il processo di urbanizzazione, che da secoli accompagna le società umane, si è fortemente intensificato con l’industrializzazione del secolo scorso e ha generato immense aree ad alta densità abitativa: edifici residenziali e destinati ad attività produttive e commerciali si alternano alla pavimentazione di strade e piazze, soffocando poche residue “isole verdi”. Quale opportunità ha oggi l’edilizia per promuovere la “conversione ecologica” di città densamente popolate? Combonifem ne parla con Katia Perini, docente di Progettazione tecnologica per l’ambiente al Dipartimento Architettura e Design dell’Università di Genova

Le città moderne divorano grandi quantità di energia e aggravano l’emergenza climatica. Da quanto tempo la vegetazione viene valorizzata per coibentare gli edifici e ridurne il fabbisogno energetico?
Da secoli, in Paesi con clima freddo e secco come Islanda, Norvegia e Canada, venivano utilizzate le piante per isolare termicamente le abitazioni: la vegetazione cresceva sulle coperture, aderendo a un substrato organico sotto cui veniva posto uno strato di corteccia d’albero. La terra asciutta fungeva da isolante termico e la vegetazione schermava gli edifici dai venti gelidi: in mancanza di impianti di riscaldamento, il sistema garantiva un certo comfort abitativo. Da notare, però, che la terra non svolge la stessa funzione in presenza di umidità.
Nelle aree mediterranee, soprattutto quelle più calde, le piante rampicanti sono state usate tradizionalmente per schermare le pareti dai raggi del sole, ma le tecniche più moderne di “verde” in architettura sono state avviate dagli anni Ottanta del secolo scorso, soprattutto in Germania. Le sperimentazioni hanno evidenziato che l’integrazione dei sistemi di copertura in ambiente urbano permette anzitutto di raffrescare, migliorare la gestione dell’acqua piovana, la qualità dell’aria e la biodiversità.

Lei accenna a benefici che vanno ben oltre l’isolamento termico degli edifici. Può spiegarli in dettaglio?
Nel ciclo naturale dell’acqua, la pioggia penetra nel terreno e gradualmente filtra nelle falde acquifere; in caso di precipitazioni intense, l’acqua tende a scorrere velocemente in superficie, ma piante e terreno ne rallentano il flusso e ne favoriscono l’infiltrazione nel terreno. La stessa vegetazione assorbe parte dell’acqua e poi, per evaporazione e traspirazione, la restituisce all’atmosfera.
Nelle aree urbane, soprattutto se densamente popolate, il suolo è coperto in prevalenza da superfici impermeabili: edifici con finalità molteplici, strade e piazze, parcheggi. Ciò genera l’effetto “ombrello”: l’acqua piovana scorre più rapidamente, sovraccarica il sistema di drenaggio ed espone le città al rischio di allagamenti. In zone con assetto idro-geologico fragile, Liguria inclusa, le precipitazioni particolarmente intense, divenute più frequenti per il cambiamento climatico, si associano a picchi del livello dei fiumi e conseguenti inondazioni. I danni a persone e cose sono ingenti.
Da notare, inoltre, che l’effetto “ombrello” compromette anche la qualità delle acque di scarico, riversando nei fiumi e nel mare le sostanze tossiche che si depositano sulle superfici e vengono lavate via dalle “bombe d’acqua”. Per questo esistono indicazioni dell’Unione Europea volte a mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo. Adottare coperture verdi nelle metropoli, pensando soprattutto ai milioni di metri quadri di tetti, contribuirebbe decisamente a migliorare il ciclo urbano dell’acqua.

Per la qualità dell’aria?
Molte città soffrono di un grave inquinamento atmosferico generato dai trasporti, dagli impianti di riscaldamento e condizionamento, e dall’industria. Con la fotosintesi, la vegetazione cattura l’anidride carbonica (CO2), la immagazzina come biomassa e, contemporaneamente, libera ossigeno. La vegetazione incorporata sui tetti e sulle pareti di edifici urbani assorbe anche le polveri sottili e altri gas inquinanti, migliorando notevolmente la qualità dell’aria: ossido di azoto e diossido di zolfo sono trasformati in nitrati e solfati, mentre le polveri sottili, tanto insidiose per i nostri polmoni, rimangono incollate alle foglie. Inoltre, nel “canyon urbano” creato da edifici molto alti, la presenza di pareti verdi raffresca l’aria e aumenta la ventilazione, riducendo ulteriormente la concentrazione di sostanze inquinanti.

E per la biodiversità?
Le città per essere più vivibili devono diventare un sistema in cui anche piante e animali possano convivere con l’umanità. In Spagna, la città di Barcellona (riferimenti in Climate adapt)* ha realizzato una molteplicità di infrastrutture verdi, creando una sorta di rete naturale nelle cui maglie si articolano gli edifici. Così ha migliorato il proprio microclima e attratto insetti e volatili, migliorando la biodiversità. Il disagio che questo genera in alcune persone dovrebbe essere risolto anzitutto cambiando mentalità: noi umani non possiamo monopolizzare la Terra, neppure in città.

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Last modified on Mercoledì, 29 Aprile 2020 19:21

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