Il 22 aprile ricorre la 51ma Giornata Mondiale della Terra, istituita nel 1969 dalle Nazioni Unite per celebrare l’ambiente e la salvaguardia del pianeta. Nel corso degli anni la partecipazione internazionale all’Earth Day è cresciuta, superando oltre il miliardo di persone in tutto il mondo.
Per il secondo anno consecutivo, la tv pubblica manderà in onda una maratona multimediale di 12 ore di diretta televisiva con #OnePeopleOnePlanet. La trasmissione inizierà alle 7:30 del 22 aprile e proseguirà fino alle 20:30, collegandosi con tanti programmi Rai. In diretta e on demand sulla piattaforma www.onepeopleoneplanet.it, numerosi saranno i contributi da parte di partner, associazioni, istituzioni, testimonial, esponenti del mondo della scienza, della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport.
Tra i diversi “palinsesti”, Ponti verso il 2030 sarà un modulo internazionale pensato per viaggiare attraverso i continenti per creare ponti ideali tra i Paesi e le generazioni, raccontando le storie di chi si batte per gli obiettivi dell'Agenda Onu 2030. I nomi dei partecipanti non sono ancora stati svelati, ma noi è saltata in mente Maria Lopez-Nuñez: cittadina statunitense originaria dell’Honduras, vice-direttrice dell’organizzazione per la Ironbound Community Corporation (ICC), Lopez-Nuñez è una giovane leader attiva nella battaglia globale sul clima.
Quotidianamente lavora per realizzare un cambiamento radicale di valori, comportamenti e leggi nella comunità in cui vive. Ad esempio, ha contribuito a iniziative legislative di portata sia municipale che statale, come il Right to Council: uno strumento pensato per garantire ai residenti meno abbienti l’accesso gratuito all’assistenza legale nel caso debbano subire uno sfratto.
Più di recente, Maria è entrata a far parte di un progetto di assistenza e cura per i bambini e per le loro famiglie costrette allo sfratto sotto la pressione della pandemia da Covid-19. In sintesi, il suo tentativo è di collegare l’ingiustizia ambientale all’ingiustizia socio-economica. A suo parere infatti «le ingiustizie ambientali non farebbero altro che alimentare e amplificare le ingiustizie di genere e razziali. Ogni tentativo di combattere sistemi sociali razzisti e sessisti è quindi anche un modo per rifondare una società equa, ecologicamente sana e socialmente pacificata».
Maria, fortunatamente, non è da sola: in India, ad esempio, Rashida Bee, Premio Goldman nel 2004, è una coraggiosa attivista sopravvissuta alla tragedia di Bophal. Cinque anni dopo Rashida ha dato vita al primo sindacato femminile indiano, un organismo costituito da donne poverissime, sfruttate e sottopagate.
Dal Kenya, invece, arriva Wangari Maathai, scomparsa nel 2011, fu la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2004 grazie «al suo contributo per la causa dello sviluppo sostenibile». Nel 1976, Wangari diede vita al Green Belt Movement, organizzazione che combatte il consumo di suolo forestale, proponendosi di coinvolgere le donne africane in progetti di piantumazione degli alberi.
E poi ancora Greta Thunberg, Danielle Nierenberg, Vandana Shiva: da ogni angolo del mondo, le donne chiedono giustizia climatica e ambientale, ma soprattutto lottano per creare ponti verso obiettivi comuni come tutelare e proteggere gli ecosistemi e scongiurare l’attuale crisi ecologica globale. Ascoltiamole.