È un onore partecipare a questo confronto online in rappresentanza di Pacific Islands Association of Ngo (Piango), l’Associazione delle ong delle isole del Pacifico. La nostra regione ha una lunga storia di flussi migratori, sia temporanei sia stagionali, connessi in prevalenza alla situazione climatica. Porto qui anzitutto il sentire delle donne indigene. Per loro emigrare implica scontrarsi con barriere linguistiche e culturali, razzismo e discriminazione, la precarietà di un visto temporaneo e la fatica di trovare un lavoro dignitoso. La scolarizzazione dei loro figli e figlie viene interrotta e comunicare con i Paesi e le famiglie di origine è difficile. Già il solo fatto di aver abbandonato le loro consuetudini costituisce per loro un trauma.
UN DESIDERIO IRREALIZZABILE: RESTARE “A CASA”
Nella regione del Pacifico la migrazione climatica rimane una questione controversa e spinosa: per le popolazioni delle piccole isole stiamo negoziando la possibilità di un visto regionale permanente in risposta al loro inevitabile futuro: spostarsi.
Le persone non vorrebbero abbandonare le loro case, ma è molto probabile che lo scioglimento dei ghiacci polari e il conseguente innalzamento del livello dei mari non lasci altra scelta. Le politiche connesse alla migrazione climatica sono discusse con grande riluttanza, perché perdere la propria terra, la sovranità nazionale, e diventare apolidi è molto doloroso. La questione è particolarmente delicata, non solo per la perdita dei diritti di cittadinanza ma anche per i risvolti spirituali: come è possibile dimenticare gli antenati e abbandonare la terra dove sono sepolti?
«RISPETTATE IL NOSTRO SENTIRE!»
Ogni Stato delle isole del Pacifico ha politiche per affrontare il cambiamento climatico ma non per la migrazione da esso indotta: è difficile anche solo parlarne. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha incoraggiato un dialogo inclusivo e realizzato un portale che permette di tracciare gli spostamenti forzati di “adattamento”; però a nome del gruppo che rappresento devo lamentare che per decenni la nostra situazione è stata gestita da persone che non erano del luogo e non comprendevano la visione indigena del mondo. Chi viene come consulente esterno stia con noi per collaborare ma non ci imponga le sue soluzioni. Noi amiamo l’oceano, e chiediamo rispetto: anche il tecnocrate più prestigioso diventa inutile se non entra in sintonia con il sentire di chi vive sulle isole.
PATTO GLOBALE: UN APPUNTO
Tante iniziative di adattamento al cambiamento climatico, incluse quelle migratorie, sono fallite perché non hanno fatto tesoro dell’esperienza e della sensibilità delle popolazioni indigene. Lo stesso Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, per esempio, non ne menziona i diritti: chiediamo che il valore della terra degli antenati e delle lingue ancestrali venga segnalato anche in quel documento. Rappresentanti del popolo maori e degli abitanti delle isole dello Stretto di Torres lo hanno chiesto con particolare insistenza.
Alla nascita, la nostra placenta viene sepolta nella terra e il cordone ombelicale ci connette a essa. Per gestire la nostra inevitabile migrazione climatica sono in corso negoziati con Nuova Zelanda e Australia per il rilascio di visti umanitari del Pacifico, ma il cordone ombelicale ci lega ancora profondamente alle nostre isole ed è doloroso reciderlo.