Un consapevole rinnovamento dell'armadio The Statesman
Domenica, 13 Marzo 2022 10:12

Un consapevole rinnovamento dell'armadio

Il nostro pianeta è sempre più a rischio. La guerra in corso tra Russia e Ucraina ha un costo altissimo sia in termini di vite umane che di ambiente. Come se non bastasse, nelle ultime settimane diversi canali televisivi hanno mostrato un'immagine sconvolgente: nel deserto di Atacama, che si estende tra il Cile e il Perù, è nata una vera e propria discarica di vestiti. Si tratta di capi di abbigliamento che arrivano principalmente da Europa e America, una grande fetta di invenduto che non si sa come smaltire, perché composta da materiali inquinanti e non biodegradabili.

Questo risultato è la conseguenza di un fenomeno tutto occidentale, quello del fast fashion. La grande distribuzione offre un'enorme varietà di abiti a basso costo in tempi molto brevi, con collezioni continuamente riassortite. Si parla di un ciclo di vita dei prodotti che va da una a due settimane, perché la logica che sta dietro a questo fenomeno è basata essenzialmente sul consumismo: se si compra oggi un jeans a pochi soldi la prossima settimana ci si potrà permettere anche una maglietta, ed entrando nello stesso negozio si avrà la sensazione di essere di fronte a qualcosa di completamente nuovo, proprio grazie all'incessante rinnovamento.

I primi a pagare le conseguenze della moda low cost sono i lavoratori che la producono, costretti a vivere con salari molto bassi e garanzie pressoché inesistenti. Altro punto di forte criticità è l'inquinamento generato da questo sistema di produzione di massa: tutto si basa sul contenimento dei costi, senza operare alcuna valutazione dell'impatto ambientale.

Produrre e tingere i tessuti immette nell'ambiente una grande quantità di sostanze tossiche, per non parlare dell'esacerbato consumo di acqua che questo processo richiede. La chiave non è il costo, bensì il recupero dei materiali e la rinnovabilità delle energie impiegate. Questo sistema necessita di una nuova e sana ri-progettazione, preferibilmente basata sull'economia circolare.

Qualche realtà che opera in questo senso emerge: nel 2017 nasce la Sartoria Sociale, che produce abbigliamento etico basandosi proprio sul riciclo tessile. Il gruppo di lavoro è formato sia da professionisti del settore che da una rete di lavoratrici e volontarie, tra cui persone in situazioni di svantaggio, come ex detenuti, donne vittime di tratta e immigrati. Lo scorso anno ha dato vita al progetto Fibra Etica – tessuto sociale, inclusivo e sostenibile che promuove l’eticità della filiera tessile, favorendo l’inserimento lavorativo di donne con fragilità.

Sulle Ande, in Perù, nel 2009 nasce Awamaki, organizzazione no profit che sostiene le tessitrici andine. L'obiettivo è quello di creare prodotti autentici e di alta qualità, investendo sulle abilità delle donne e aiutandole ad immettersi nel mercato. Awamaki supporta la loro leadership con lo scopo di aumentare gli introiti delle loro attività e trasformare le comunità in cui vivono. Inoltre, offre una formazione continua sui metodi di selezione delle fibre tessili e di tintura naturale dei capi.

E per il made in Italy, è nato a Verona il progetto Quid, un brand di moda etica e sostenibile dell’impresa sociale Quid, che crea capi di abbigliamento e accessori in edizione limitata. Il loro lavoro, svolto soprattutto da donne con trascorsi di fragilità, che trovano in Quid un’occasione di riscatto, si basa sul recupero di eccedenze di tessuti messe a disposizione dalle più prestigiose aziende di moda e del settore tessile.

Queste realtà non solo rispettano le lavoratrici e l'ambiente, ma offrono anche capi di abbigliamento originali composti da tessuti di alta qualità.

Se scegliamo loro, vinciamo tutti.

Last modified on Domenica, 13 Marzo 2022 10:51

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