Il fiume Mekong, scendendo dal Tibet, attraversa Cina, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam. Sul suo bacino sono progettate una quarantina di dighe gigantesche, di cui quattro quasi ultimate. Sono state pianificate frettolosamente, senza valutarne né gli impatti ambientali e sociali a livello locale, né quelli a livello complesso sull’ecosistema.
A livello locale, la popolazione, in prevalenza dedita alla pesca o all’agricoltura e alla raccolta, accetta di spostarsi altrove in cambio di un indennizzo, che a prima vista può sembrare allettante. Purtroppo in molti finiranno in zone urbane dove le loro abilità risultano inutili, o in zone aride e improduttive, semplicemente invivibili.
L’impatto a livello complesso interessa gli equilibri della fauna e della flora e il trasporto di detriti che fertilizzano il suolo: si manifesta silenziosamente, dopo anni, ed esplode quando le comunità locali avvertono un danno ormai irreparabile all’ecosistema.
In Cambogia il Sesan è uno dei principali affluenti del Mekong. La costruzione della diga Lower Sesan II ha imposto alla popolazione dell’area di spostarsi in terreni sassosi e poco fertili, lontano dall’acqua. Con voce commossa Emanuele Bompan racconta.
Ricorda Je Srey, una donna esile: «Siamo stati nella sua casa. Suo marito ha accettato l’indenizzo e se n’è andato con il figlio maggiore. Lei è rimasta sola con gli altri due figli». Je Srey non sapeva dove andare: ha sempre coltivato il suo orticello, pescato dal fiume e raccolto dal bosco. «Con occhi duri, senza lacrime, ci ha detto: “Non mi compreranno. Non mi piegheranno con le armi. Non sono contraria alla diga, ma non deve distruggere la nostra vita per alimentare il televisore di chi vive lontano da qui. Quando l’acqua inizierà a salire, rimarrò nella mia casa. Morirò sommersa dal fiume che ci ha dato la vita”. Ora quella casa è sommersa dall’acqua della diga e non sappiamo cosa ne sia di Je e dei suoi figli».