Un giorno, in risposta a un giornalista che lo incalzava sulla necessità di consumare, Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, disse: «Quando compri credi di farlo col denaro, ma ti sbagli. Non si compra con i soldi, ma col tempo che abbiamo usato per guadagnare quel denaro. In altre parole, quando si consuma si paga con la vita che se ne va».
Famiglie “non luogo”
Per consumare molto, bisogna disporre di molto denaro, che abitualmente si ottiene con molto lavoro. Il problema è che, se si passa tutto il tempo a lavorare per far soldi, non ne rimane per le altre dimensioni. Una ricerca condotta in Inghilterra nel 2010 su 4000 famiglie ha rivelato che il tempo medio passato insieme da tutti i componenti della casa non va oltre i 50 minuti al giorno. In altre parole, le famiglie non sono neanche più delle pensioni, bensì dei “non luoghi”, delle stazioni di transito nelle quali ci si saluta a distanza. Il che dimostra che la grande vittima della nostra vita di corsa sono le relazioni, che quasi non esistono più.
Lavoro obbligato
Per legge di buon senso, siamo tutti convinti che avremmo convenienza a rallentare e consumare di meno. Ma una domanda ci induce ad allontanare da noi ogni ipotesi di riduzione: «se consumiamo di meno, che ne sarà dei nostri posti di lavoro?». Domanda inevitabile di chi sa di vivere in un sistema in cui il lavoro lo creano le imprese, ma solo se riescono a vendere sempre di più.
Per questo, pur sapendo che troppo consumo non fa bene né a noi né al pianeta, non ce ne sappiamo trattenere . Al colmo dell’assurdo, consideriamo questa impostazione perfettamente normale, ma nella storia dell’umanità il lavoro non è mai stato un fine da perseguire, bensì un giogo da cui liberarsi. Se noi, figli del mercato, abbiamo trasformato il lavoro in un idolo da venerare, non è perché siamo impazziti, ma perché viviamo in un sistema che ci offre l’acquisto come unica via per soddisfare i nostri bisogni, e ci offre il lavoro salariato come unica via per accedere al denaro utile agli acquisti. Per questo il lavoro è diventato una questione di vita o di morte, e in suo nome siamo tutti diventati partigiani della crescita.
Consumi forzati
Avendo sempre visto il lavoro nella sola prospettiva del sostentamento personale, abbiamo finito per disinteressarci di cosa produciamo, per chi lo produciamo e delle conseguenze per l’ambiente. In nome dell’occupazione siamo giunti a difendere la produzione di armi, di pesticidi, dei beni di lusso riservati a una minoranza. Tolleriamo perfino le industrie inquinanti che ci portano alla morte. Un nonsenso non più sostenibile.
Oggi che il pianeta è sull’orlo del collasso, l’ambiente è diventato il grande ostacolo del lavoro. Non per legge assoluta, ma per il modo di funzionare del sistema di mercato. Poiché tutto ruota attorno alle vendite, anche il lavoro è una variabile dipendente dai consumi, e se è vero che certe pratiche come il riciclaggio contribuiscono a creare posti di lavoro, rimane il fatto che la crescita delle vendite è una condizione imprescindibile di qualsiasi progetto di piena occupazione. Ma più vendite significano più consumo di materia e maggiore produzione di rifiuti.
Ciò procura non poco imbarazzo a chi ha sensibilità sociale e ambientale: praticare la sobrietà per non danneggiare la natura o vivere il consumismo per favorire i disoccupati?
Risolvere il paradosso
La strada per uscire dal dilemma è un altro modo di provvedere ai nostri bisogni. Non più basato sul denaro, ma sulla gratuità. Se potessimo ottenere ciò che ci serve in forma diversa dall’acquisto, smetteremmo di dipendere dal denaro e quindi dal lavoro salariato. Automaticamente, Pil, produzione e consumi smetterebbero di essere i padroni indiscussi della nostra vita, e la sufficienza tornerebbe ad essere la nostra guida per ritrovare l’armonia con noi stessi, gli altri e la natura.
Il nodo da affrontare è la funzione del lavoro.
Nel nostro immaginario il lavoro fa solo rima con salario, ma così facendo neghiamo il diritto di cittadinanza a qualsiasi altra forma di lavoro. Benché lo pratichiamo tutti i giorni, abbiamo perfino dimenticato il lavoro d’uso, la forma più ancestrale di lavoro che è quello applicato direttamente ai bisogni da soddisfare in ambito personale e familiare: cucinare, lavare, riparare, curare, educare.
“Altro” lavoro
Per ampliare il soddisfacimento dei nostri bisogni senza aumentare i consumi, è proprio il lavoro d’uso che dobbiamo espandere.