Com’è avvenuto il matrimonio fra te e Gianni?
Ci siamo sposati a Bologna il 3 luglio 1961: per la Chiesa cattolica era ancora in vigore la scomunica per il coniuge cattolico che si fosse sposato in una Chiesa protestante, e alla parte non cattolica si chiedeva di non far mostra della propria fede a partner e figli. Decidemmo di sposarci nella Chiesa metodista e, con grande sofferenza per la sua famiglia, Gianni subì la scomunica.
E poi cos’è successo?
Prima delle nozze mio marito aveva contattato dei teologi cattolici, che portarono il nostro caso alla Segreteria di Stato della Santa Sede: ottenne la sanatio in radice e venne riammesso alla comunione nella Chiesa cattolica entro la fine di luglio del 1961. Il matrimonio fu considerato valido dalla Chiesa cattolica fin dalla data in cui fu celebrato.
Come hanno vissuto il vostro matrimonio le vostre rispettive famiglie e comunità di fede?
Allora era proibito ai cattolici entrare e assistere a una cerimonia in una chiesa evangelica, ma mia suocera, donna di gran cuore, non ascoltò il prete e si trascinò appresso gli altri familiari.
Non si parlava per niente di ecumenismo, anzi le nostre comunità preferivano ignorarsi, se non guardarsi in cagnesco, e anche nella mia comunità i matrimoni interconfessionali erano malvisti.
Come vi siete comportati per l’educazione religiosa dei vostri figli?
Decidemmo di battezzare Stefano, Emanuela e Davide nella Chiesa cattolica, ma scegliemmo di frequentare insieme le due comunità il più spesso possibile, e all’età giusta i bambini seguirono la scuola domenicale in Chiesa valdese e il catechismo in Chiesa cattolica. Anch’io ho potuto fare la catechista per i miei figli, grazie a un parroco illuminato che mi fece collaborare in parrocchia.
Da chi vi siete sentiti sostenuti, e come avete iniziato a vostra volta a sostenere altre coppie?
Abbiamo proceduto, nei confronti delle nostre Chiese, un po’ da battitori liberi: non c’era affatto un accompagnamento da parte di preti e pastori. Conoscemmo per caso – o fu un segno del cielo? – il Centre œcuménique Saint-Irénée di Lione, guidato dal padre domenicano René Beaupère, che da anni si occupava di coppie interconfessionali, e la loro rivista Foyers Mixtes. Ci parve di sognare! Iniziammo a tradurre e diffondere questo materiale, e così cominciò la nostra avventura di coppia interconfessionale che non stava più in disparte, ma bussava alle porte delle Chiese.
A livello nazionale, qual è stato il momento di svolta?
Nel 1968 Maria Vingiani, presidente del Segretariato attività ecumeniche (Sae), chiese a Gianni di collaborare con don Mario Polastro per presentare alla Sessione estiva la situazione dei matrimoni interconfessionali in Italia. Da quel momento don Mario divenne il “cappellano” delle coppie italiane, e noi iniziammo ad andare in giro per il Paese a sollecitarle. Molti anni dopo ci chiamarono come consulenti per la stesura del Testo applicativo sui matrimoni interconfessionali, voluto da Cei e Chiesa valdese.
Che cosa chiedevate alle vostre Chiese?
Quando nacque il nostro terzo figlio, Davide, fu battezzato nella Chiesa cattolica con una celebrazione ecumenica, presenti entrambe le nostre comunità. Cominciammo la battaglia per far riconoscere il battesimo dei figli e figlie delle coppie interconfessionali dalle rispettive Chiese. Parlavamo di «doppio impegno ecclesiale», anche sulla scorta delle esperienze delle coppie estere, dove le pastorali interconfessionali coinvolgevano ministri e comunità, arricchendole.