Guardare alla propria storia è certamente qualcosa di molto serio, ma questo non significa che non faccia nascere più di un sorriso. E allora cominciamo proprio ridendo.
Per puro caso, in questa “rete” che, come dice la parabola di Gesù, raccoglie ogni genere di pesci (cfr. Mt 13,47ss), mi sono imbattuta in questa frase: «Esiste un’associazione delle teologhe italiane? Beh, se esiste il ministero per le Pari opportunità – ho pensato – può esistere anche l’associazione delle teologhe italiane. Un ente inutile non si nega a nessuno, in fondo». È un’osservazione tragica ed esilarante insieme.
In quindici anni di vita, al Coordinamento Teologhe Italiane è stato chiesto da tanti e in molti modi di occupare spazi importanti, all’interno della Chiesa e della società, perché tutt’altro che inutile è stato il suo contributo da molti punti di vista. Soprattutto, però, sul piano degli impegni statutari che ne avevano sancito la fondazione. Cioè: una trasmissione inclusiva delle conoscenze teologiche e un ripensamento della tradizione teologica ed ecclesiale in prospettiva di genere.
Quanto quindici anni fa (era il 26 giugno 2003) appariva come un auspicio, oggi, come attesta la storia del Cti, è diventato realtà condivisa e, per questo, feconda.
Abbiamo sempre sostenuto che il Cti sarebbe rimasto in vita fino a quando non avesse raggiunto il suo scopo, cioè dotare il panorama teologico italiano e l’intera comunità ecclesiale del nostro Paese di un ulteriore ambito di ricerca specialistica e di un ulteriore strumento di confronto e di scambio. Se ancora oggi in Italia alcuni (e sono davvero troppi) considerano le pari opportunità roba da enti inutili, il Cti avrà ancora un bel po’ da fare.