Noi esseri umani siamo tutti dotati di un’arma a doppio taglio che è la nostra bocca. Le nostre parole hanno tante facce e tante maschere, una volta pronunciate creano una realtà tangibile e assumono una vita propria. Le parole positive nutrono, guariscono e ingrandiscono, mentre quelle negative apparentemente non lasciano né ferite né lividi, ma gradualmente avvelenano e uccidono l’anima della persona. Il marchio della parola è indelebile: «Morte e vita sono in potere della lingua, chi di essa fa retto uso ne godrà i frutti» (Pr 18:21).
In ebraico, la parola “frase”, mishpat, significa anche “giudizio”: da qui capiamo che ogni nostra frase è una sentenza i cui risultati positivi o negativi essi siano, ci seguiranno per un’intera vita.
Questo è il vero senso della frase «occhio per occhio, dente per dente»: il criterio di giudizio che hai adottato nei confronti dell’altro sarà in seguito usato per giudicare te.
C’è da chiedersi come mai nell’era della comunicazione sembra di vivere nell’antica Babele: perché è così complicato comunicare o capirci pur parlando la stessa lingua?
Parola e silenzio
La parola è già una traduzione di un sentire interiore che il più delle volte non si riesce a esprimere nel migliore dei modi. La natura delle parole si diversifica secondo chi le pronuncia. Quando le parole non nascono dalla conoscenza ma da pregiudizi e “sentito dire”, sono prive di discernimento ed esprimono immagini e fantasie che non hanno nessuna corrispondenza con la realtà vissuta. Quando le parole pronunciate sono frutto dell’istinto scatenato, sono troppe, e la parola artefatta manda tutto irreparabilmente in frantumi. Per questo il turpiloquio, in particolare le bestemmie, coinvolgono la sfera sessuale. È necessaria un’estrema chiarezza di parole nelle relazioni, senza temere di esprimersi anche se questo comporta disagio in chi parla o ascolta. È essenziale ricordare che il più delle volte, la nostra mente... mente.
Il malessere, la malattia, i momenti di crisi sono causati dal cattivo uso o addirittura dal non uso della parola stessa. Qui il silenzio è inteso come parola o relazione negata. Basta non nominare o ignorare qualcuno per escluderlo, emarginarlo e annullarne l’esistenza ai suoi stessi occhi.
La parola “violenza”, in ebraico, alimùt, viene da elem, “silenzio”, come la parola “vedovanza”, forse per esprimere che, se uno dei due coniugi viene a mancare, scompare la voce e cala il silenzio. La persona violenta è incapace di esprimere i suoi sentimenti; dominata dalla frustrazione usa l’aggressività e le mani come linguaggio. Il razzismo e l’odio nascono dall’incapacità di accettare sé stessi e di comunicare nel modo giusto.
Voce soffocata
«Dio creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio, li creò maschio e femmina» (Gen 1:27). L’uomo è composto da due nature diverse: maschio e femmina. Ogni parte ha un proprio linguaggio e una propria visione della realtà. Da questa posizione parzialmente occlusa si vive nell’incertezza e nella frustrazione dell’incomprensione reciproca.
Siamo chiamati ad ampliare la nostra coscienza tramite la relazione con chi è “altro” da noi, sia esso di genere, tuo fratello o lo “straniero”.
Il primo atto di violenza descritto nella Bibbia è drammatico.
Caino e Abele, due fratelli, sono l’uno il contrario dell’altro. Caino uccide Abele. Caino, il cui nome significa “possesso” e “gelosia”, uccide Abele, il cui nome indica il “vapore”, simbolo della parola. L’Ego ha ucciso il Sé, la materia ha soffocato lo spirito, l’immagine ha prevalso sulla sostanza.