L’Unione Europea può attendersi qualcosa di buono per il 2020?
L’attuale panorama europeo rivela alcuni elementi incoraggianti.
Il primo è l’esito delle elezioni del 26 maggio 2019 per l’elezione dei settecento europarlamentari dell’Unione. Queste elezioni erano considerate una scadenza fondamentale, sia per chi credeva nel rafforzamento dell’Ue sia per chi auspicava una riduzione, quando non addirittura una demolizione, della costruzione stessa dell’Unione, inclusa la sua moneta unica.
Di fronte a questa contrapposizione che ha pervaso la campagna elettorale, la risposta data dall’elettorato è stata molto chiara: per l’ampia partecipazione popolare, che ha invertito la tendenza delle passate consultazioni, segnate da una contrazione dell’affluenza alle urne forse rivelatrice di un crescente disinteresse per l’Ue, ma soprattutto per il rafforzamento dei partiti pro-europei (popolari, socialisti, liberali, verdi e lo stesso partito di Macron), che nell’insieme hanno ottenuto oltre il 70% dei seggi. I partiti dichiaratamente anti-europeisti hanno ottenuto soltanto il 23% dei consensi.
La maggioranza dei cittadini europei, dunque, si è espressa in favore di una prosecuzione e in pari tempo di un rafforzamento dell’Unione. Come questa indicazione comune possa concretizzarsi in decisioni politiche effettive rimane un’incognita, perché i partiti pro-europei hanno posizioni diversificate: alcuni sono più conservatori, altri socialmente più sensibili, altri focalizzati sulla tutela dell’ambiente, altri ancora più decisamente in favore di riforme delle regole sull’economia e delle stesse istituzioni dell’Unione. Si tratterà di capire su quali obiettivi il Parlamento europeo riuscirà a coagulare una maggioranza. La sfida è aperta; è comunque una sfida all’insegna di una fiducia condivisa nell’Europa e nelle sue istituzioni.
Il secondo elemento incoraggiante è costituito dalla nuova Commissione. La nomina alla sua presidenza di Ursula von der Leyen si sta rivelando una scelta felice. Anche la selezione dei principali commissari sembra riuscita, perché molti e molte di loro sono di alto profilo e di sicura competenza.
Già nel suo primo discorso di presentazione come candidata, Ursula von der Leyen ha enunciato un lungimirante programma di avanguardia. Ha dato priorità alla tutela dell’ambiente e del territorio per contrastarne il degrado, che mette a rischio la biodiversità e la stessa condizione umana. Ha collegato questo obiettivo con il proposito di perseguire finalità sociali: curare l’ambiente con investimenti importanti significa anche creare posti di lavoro e contribuire a risolvere i problemi di disoccupazione che, in Europa, affliggono ormai anche i Paesi avanzati. Infine, ha posto l’accento sulla necessità di estendere i poteri di co-decisione del Parlamento europeo e di eliminare il potere di veto dei governi. Un programma eccellente, che si spera possa ottenere il sostegno sia del Parlamento europeo sia dei governi dell’Unione.
Esistono criticità in tal senso?
Non basta aver enunciato tali propositi: per procurare le ingenti risorse per gli investimenti necessari a tutelare l’ambiente, la Commissione dovrà ottenere il supporto, oltre che del Parlamento europeo, del Consiglio dei ministri e soprattutto del Consiglio europeo, cioè dei governi degli Stati dell’Unione. Al momento non c’è accordo sul piano che fissa la cornice finanziaria dell’Ue per i prossimi sette anni: la tendenza di molti governi, a cominciare da quello tedesco, è prevalentemente orientata a ridurre gli investimenti piuttosto che a incentivarli come sarebbe invece necessario. E questo è molto preoccupante, perché senza risorse pubbliche gli investimenti a lungo termine non si fanno.