Per quanto riguarda l’immigrazione, esso tocca almeno quattro aree: la protezione internazionale, i tempi di trattenimento nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (che vengono allungati), le norme relative alla concessione di cittadinanza italiana e la dichiarazione di residenza per i richiedenti asilo.
Poiché la materia è molto articolata e complessa, queste pagine presentano, senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni aspetti relativi al riconoscimento della protezione internazionale.
Protezione internazionale
Prima di questo decreto la domanda di protezione internazionale prevedeva tre possibili esiti positivi:
• ottenimento della protezione internazionale piena, cioè dell’asilo politico ai sensi della Convenzione di Ginevra;
• ottenimento della protezione sussidiaria, derivante dalla trasposizione di una direttiva europea;
• rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, derivante da una norma nazionale. Quest’ultimo titolo di soggiorno era il più “debole” in termini di opportunità connesse e durata: veniva rilasciato in una varietà di casi, per esempio a favore di persone vulnerabili come donne in gravidanza e minori stranieri non accompagnati, oppure di persone che non avrebbero avuto prospettive in caso di rientro nel Paese di origine.
Sguardo retrospettivo
Nel 2017 una protezione simile a quella umanitaria era prevista nell’Unione Europea da ben 21 Stati su 28 anche se, tra questi, otto l’hanno accordata in modo del tutto eccezionale.
L’Italia, rispetto agli altri Paesi, utilizzava quest’opzione in modo molto più importante.
Nel 2017, infatti, in Italia l’8% di richiedenti ha ottenuto l’asilo politico, un altro 8% la protezione sussidiaria e il 25% i motivi umanitari; il 58% ha ricevuto un diniego.**
Nel 2018 i dinieghi sono saliti al 67%, cioè più di due richiedenti su tre hanno ricevuto una risposta negativa. Nell’arco dell’anno vi è stato un calo importante rispetto alla percentuale di permessi accordati per motivi umanitari dalle Commissioni territoriali (Ct) , perché si è passati dal 28% di inizio anno al 3% di dicembre. Ciò è avvenuto anche sulla base di circolari emanate dall’attuale governo nell’estate 2018, le quali indicavano alle Ct di ridurre il numero di permessi accordati per motivi umanitari.
In ottobre, con il Dl 113/2018, è stata completamente eliminata la casistica dei “motivi umanitari”, abrogati dal testo di legge e sostituiti dalla “protezione speciale”, che però potrà essere accordata a un numero molto più limitato di persone, perché basata su una definizione molto più ristretta.
Di conseguenza, in questo momento l’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana, che riguarda l’asilo politico, non trova più piena applicazione.
Nell’immediato il Dl 113/2018 va a rendere particolarmente precaria la situazione di coloro che sono in possesso di un permesso per motivi umanitari. Al momento della scadenza del titolo:
• o lavorano e riescono a convertire il proprio permesso in un permesso per lavoro,
• o rientrano in alcune ipotesi particolari,***
• o devono essere rivalutati dalla Ct, che deve decidere se vi siano i presupposti per un permesso di soggiorno per “protezione speciale”. Se non vi sono, la persona rimane senza permesso di soggiorno e, se si trattiene in Italia, diventa irregolarmente presente.
La “protezione speciale”
Il permesso per protezione speciale è di durata annuale; per il rinnovo si deve ogni anno attendere il parere della Ct e non può essere convertito in un permesso di lavoro: chi lo possiede sarà in una condizione di permanente incertezza circa la possibilità di rimanere regolarmente in Italia.