Martedì, 10 Novembre 2020 17:16

Cile. Le donne avranno la parità nella Costituzione

La lotta femminista e la lotta sociale sono andate di pari passo nel paese in cui è stato inventato l’inno, diventato globale, “Un violador en tu camino”. Per loro il plebiscito di domenica rappresenta molto di più che la cacciata definitiva del dittatore.

Il Cile diventerà il primo paese al mondo ad avere una Costituzione redatta in modo paritario. Il plebiscito di domenica scorsa, che ha approvato il seppellimento di una delle principali eredità della dittatura, ha deciso anche che l’assemblea incaricata di redigere la nuova Costituzione sarà composta per il cinquanta per cento da donne.

È un trionfo storico per le donne cilene che sono state protagoniste di alcuni dei momenti più importanti della recente lotta femminista. Sono loro, attraverso il collettivo Las Tesis, le autrici dell’inno, diventato globale, e della performance Un violador en tu camino (Uno stupratore sulla tua strada), cantato da milioni di donne in tutto il mondo per denunciare la violenza machista. Sono state loro inoltre ad aver guidato gran parte delle proteste sociali dell’ultimo anno, chiedendo profondi cambiamenti che superino “la camicia di forza” di un modello neoliberista che ha reso il Cile uno dei paesi più ricchi della regione, ma anche uno dei più ineguali.

Questa leadership femminile non è nuova nei processi di trasformazione sociale che la società cilena ha vissuto nell’ultimo secolo. In effetti, è stata presente nei momenti cruciali della storia, unendo in molti casi, in una sola, la lotta femminista e la lotta sociale.

Dall’inizio del XX secolo le donne cilene sono state parte attiva delle rivolte minerarie, come quella che si concluse nel 1907 con il massacro di Santa María de Iquique in cui persero la vita 3.600 persone tra uomini, donne, ragazzi e ragazze che denunciavano le condizioni di sfruttamento nell’industria dei nitrati. Le donne furono poi artefici di alcune delle misure più rivoluzionarie del governo di Salvador Allende in termini di equità e giustizia sociale. In molte fabbriche e aziende furono loro a prendere il controllo della produzione, così come nelle Juntas de Abastecimientos y Precios (JAP) e nella costruzione di alloggi sociali e policlinici. La loro partecipazione attiva al progetto di Unità Popolare riuscì a promuovere politiche pubbliche di conciliazione, come mense sociali e asili nido, e anche a creare mezzo milione di posti di lavoro riservati alle donne, che cercavano di garantire la parità nel mondo del lavoro.
Lo slancio trasformativo continuò durante la dittatura, attraverso il coordinamento dei gruppi per i diritti umani, le donne residenti e le femministe per creare strategie comuni di protesta e resistenza organizzata sotto lo slogan “Democracia en el país y en la casa” (Democrazia nel paese e a casa). Combattevano contro il regime e la crisi economica degli anni Ottanta ridando significato alla cittadinanza femminile che la dittatura aveva svalutato.

Con l’arrivo della democrazia, la lotta femminista si è spostata su altri ambiti, denunciando le violenze sessuali e l’educazione sessista nei campus universitari, un movimento che nel 2018 ha portato alla rivolta di migliaia di donne e all’occupazione di trentadue università e noto come “Mayo feminista”. Mai prima, in nessun luogo, le donne erano riuscite a paralizzare le università di un paese come mezzo di protesta contro il sistema dei privilegi di genere imperante nelle istituzioni e nella società nel suo complesso.

Tutto questo protagonismo è rimasto invisibile in una Costituzione che fu redatta in piena dittatura e che non tenne conto della diversità nella società, non solo quella di genere. Nemmeno l’elezione a presidente della socialista Michelle Bachelet, nel 2006, riuscì a ribaltare la situazione.

Ciò che le donne cilene chiedono ora è un cambiamento nella narrazione ufficiale prevalente, che secondo loro le rappresenta come un soggetto complementare e non costitutivo della società. Vogliono che il cambiamento che si apre con il processo costituente consenta una trasformazione del linguaggio sociale e giuridico che le ha rese invisibili con il pretesto di una presunta neutralità. Chiedono diritti per le donne indigene, autonomia sui loro corpi. Per la scrittrice femminista cilena Diamela Eltit il plebiscito di domenica rappresenta la fine di una scrittura dittatoriale che ha perpetuato per quarant’anni una formula segregante imposta dalla dittatura. La posta in gioco, ci dice, è eliminare una Costituzione progettata “millimetricamente” per indebolire lo Stato e favorire l’espansione dei grandi capitali. La nuova Costituzione rappresenta, in questo scenario, lo “sfratto” della forma giuridica promossa dal dittatore che protegge la disuguaglianza in tutte le sue manifestazioni.

Le donne che si sono mobilitate negli ultimi anni sono convinte che il fatto che ci sia il cinquanta per cento di donne nel processo costituente non garantisce che il femminismo sia protagonista. Chiedono, quindi, che sia parte integrante del processo, che continui nelle strade mobilitando il desiderio di trasformazione. Seppellire la Costituzione rappresenta per loro e per milioni di cilene non solo seppellire Pinochet, significa anche abolire un sistema neoliberista che mercifica donne e bambine, un sistema che è diventato uno dei principali ostacoli per avanzare con l’agenda femminista che reclamano da un secolo.

Fonte

Last modified on Martedì, 10 Novembre 2020 17:43

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