Il pentecostalesimo nasce in America agli inizi del XX secolo come espressione di malessere verso il cristianesimo convenzionale, stretto nel formalismo religioso, che non aveva saputo evitare gli orrori della guerra secessionista, scrive Paolo Naso nel volume della Emi Cristianesimo: Pentecostali. Tutte le Chiese pentecostali iniziarono, quindi, come movimenti ecumenici di risveglio – non volevano fondare nuove Chiese, ma desideravano risvegliare quelle di appartenenza – senza dotarsi di strutture specifiche, attribuendo così al movimento il carattere frammentato e disomogeneo che tutt’oggi lo contraddistingue.
Origini negli Stati Uniti
Il movimento pentecostale italiano nasce fra gli immigrati a Chicago, che vi erano giunti cercando ciò che in Italia veniva loro precluso: un posto rispettato nella società. Vivevano però in quartieri dove la convivenza con altre minoranze era difficile; i conflitti, uniti a una scarsa padronanza dell’inglese e alle condizioni di miseria in cui erano costretti a vivere, li avevano spinti in fondo alla scala sociale. L’atteggiamento ostile della Chiesa cattolica locale nei loro confronti, che ne disprezzava la credenza popolare e poco ortodossa, li portò a un crescente anticlericalismo e a una crisi di identità che li spinse ad abbracciare una nuova fede che sembrava non far caso del loro ceto di appartenenza o regione di provenienza.
La comunità pentecostale offrì a quegli immigrati un’affermazione reciproca, non condizionata dallo status economico, dal rango sociale o dalla rispettabilità, ma fondata esclusivamente sulla speranza della salvezza e sulla presenza costante dello Spirito.
Diffusione in Italia
Alcuni di quegli immigrati, abbandonata la prospettiva di una vita più comoda all’estero, scelsero di ritornare in patria per condividere la Buona Novella con amici e parenti. Nella maggioranza dei casi si trattava di poveri braccianti, spesso derisi per la loro ignoranza; nonostante le grandi limitazioni di carattere culturale, quei semplici riuscirono a testimoniare a tante persone, diffondendo così il movimento. Per avere un’idea dell’espansione, basti sapere che nel 1910 esistevano in Italia soltanto 4 comunità pentecostali, mentre negli anni Quaranta arrivarono a 173.
Nelle riunioni di culto ciascuno partecipava con interventi spontanei; queste forme di “partecipazione corale” e soprattutto la pratica della glossolalia furono fin dal principio la causa dell’opposizione e la ragione per cui le comunità pentecostali furono considerate “sette stravaganti”, in quanto non seguivano una forma liturgica prestabilita.
Divieto di culto
Le persecuzioni contro i pentecostali – annota Giorgio Peyrot nel libro La circolare Buffarini-Guidi e i pentecostali (1955) – vennero ufficializzate il 9 aprile 1935 con la circolare del ministro dell’Interno, Buffarini-Guidi, che testualmente ordinava: «Il culto professato […] non può essere ulteriormente ammesso nel Regno […] essendo risultato che esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».
Ebbero così inizio arresti, deportazioni e campi di concentramento; i locali vennero chiusi, le assemblee e le riunioni furono sciolte. Le persecuzioni continuarono fino all’indomani della caduta del fascismo, addirittura fin dopo l’abolizione della famigerata circolare Buffarini-Guidi avvenuta nel 1955, in quanto «rimase di fondo una mentalità autoritaria e conservatrice nella magistratura e nella burocrazia, influenzata dall’invadenza del clero cattolico».
Sospetti reciproci
Benché nato in uno “spirito ecumenico”, il pentecostalesimo è rimasto comunque indifferente e talora anche ostile ai processi formali dell’ecumenismo istituzionale.
In genere, i pentecostali credono che la Chiesa di Gesù Cristo sia unita e una, però credono altresì che l’unità non può essere ricercata a tutti i costi, se questa implica un allontanamento e un’infedeltà alla parola di Dio. Questo non implica che non ci debba essere dialogo interconfessionale, ma per i pentecostali è essenziale che, da un punto di vista teologico e dottrinale, non ci sia nessun compromesso finalizzato a raggiungere l’ecumenismo a danno degli insegnamenti della Sacra Bibbia.