Vedere quella lunga fila di bare portate via dai carri militari, le tante persone che morivano in ospedale e nelle Rsa senza uno sguardo di conforto dei propri cari, è stata per me una grande sofferenza. Io non la posso dimenticare e penso che non la dobbiamo dimenticare, perché può aiutarci a crescere nell’apprezzare la vita umana. Quando si commentava il numero dei decessi percepivo anche una sorta di relativismo etico: se le persone anziane morivano era semplicemente la loro sorte.
Nel corso degli anni, a mio avviso, abbiamo perso il concetto di persona come soggetto in relazione con altri e altre; è emersa la potenza dell’io che ama apparire: consumistico, banale e vuoto. L’isolamento sofferto da tante persone durante i mesi del lockdown può e deve avviare una rivoluzione antropologica per recuperare il senso profondo della vita. Le tragedie che si sono consumate nelle Rsa hanno reso palese che siamo un Paese in marcato invecchiamento ma impreparato ad affrontare la vecchiaia e anche… il benessere dell’infanzia. Sulle due grandi emergenze, invecchiamento e denatalità, nel dibattito pubblico c’è stata tanta retorica ma è mancata la volontà di costruire valide alternative. Un’adeguata assistenza domiciliare lo può essere per Rsa e case di riposo, per esempio.
Questo è il momento di avviare una discussione seria sulla qualità della vita, dall’infanzia all’anzianità, affinché lo stravolgimento indotto dalla pandemia ci solleciti davvero a trasformare la nostra società. È stata una lezione dolorosa ma vitale.
È importante, allora, che la forza pubblica delle donne pesi anche nell’agire politico. Ci sono tante proposte programmatiche frammentate: come donne, possiamo farne una condivisa da realizzare adesso attraverso un costruttivo gioco di squadra? Il tempo della politica è adesso.
Con le donne dei partiti e delle istituzioni auspico un dialogo fecondo: credo nel valore della cittadinanza attiva e della capacità di proposta, ma le leggi si fanno in Parlamento. Le donne hanno dimostrato di avere una grande forza, ma la politica è rimasta sorda. Io spero che si aprano canali di comunicazione per affrontare davvero il tema della medicina territoriale e dei servizi sociali, per provvedere, fra l’altro, centri diurni e centri di sollievo per le famiglie con persone disabili. Bonus e mancette sono palliativi di corto respiro. L’esperienza consolidata del Dopo di noi, convertita finalmente in legge, prospetta già case-comunità in alternativa al ricovero del familiare disabile. È dall’esperienza che si aprono prospettive di cambiamento strutturale.
La questione del tempo, per esempio, è una questione cruciale: dei tempi di vita e di lavoro si parlava già negli anni Novanta, ma negli ultimi anni il tempo di lavoro, per molte persone, è diventato tiranno rispetto a tutti gli altri tempi della vita, soprattutto per i lavori non tutelati. Come donne, guardando alla società da plasmare, possiamo dare dignità al tempo di lavoro per uomini e donne e al tempo da dedicare alla cura, che non è soltanto privato ma anche pubblico, individuale e per la comunità.