Nel 2015 si prospettavano «ancora 81 anni per raggiungere la parità nella partecipazione al mercato del lavoro, più di 75 anni per ottenere retribuzioni uguali a parità di lavoro e circa 50 anni per la parità nella rappresentanza politica».
A un quarto di secolo, quali sono i bilanci di “Pechino”?
Se per il Global Gender Gap Report 2020, pubblicato dal Forum economico mondiale il 16 dicembre 2019, la parità di genere avrebbe dovuto attendere ancora 99 anni per realizzarsi a livello mondiale, quanti di più se ne dovranno aggiungere adesso per gli effetti del covid sulla vita delle donne?
Cenerentola dello “sviluppo”
Molti Paesi, in particolare in alcune regioni del “Sud” del mondo, conservano culture che relegano ancora le donne ai margini della società: nell’istruzione, nel diritto alla salute, nel lavoro, nelle opportunità economiche e nelle responsabilità di governo.
Il Global Gender Gap Report 2020* indica che i Paesi più virtuosi dei 153 esaminati nel 2019 hanno risolto per almeno l’80% il divario di genere complessivo: sono Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia nel Nord Europa, Nicaragua in America Latina, Nuova Zelanda in Asia e Pacifico, e Irlanda, Spagna e Germania nell’Europa occi-dentale. In Africa, il Rwanda è al 9° posto in classifica, la Namibia al 12° e il Sudafrica al 17°.
L’Italia, invece, è retrocessa al 76° posto, prossima a molti Paesi “in via di sviluppo” dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.
Purtroppo, dalla Conferenza di Pechino a oggi la maggior parte dei fondi destinati allo sviluppo non sono diretti in modo specifico alla parità di genere. I dati Ocse mostrano che solo il 4% dell’aiuto bilaterale è dedicato a programmi che la promuovono, mentre il 34% la recepisce in modo generico e il 62% la ignora del tutto. Fanno eccezione Svezia e Paesi Bassi, che alla parità fra donne e uomini già riservano il 15% dei loro aiuti internazionali, mentre il Canada intende impegnarsi in tal senso.
Quella fragilità disarmante
In molti Paesi del Sud del mondo prevale una cultura marcatamente patriarcale: 14 dei 25 Paesi con il maggior numero di femminicidi si trovano in America Latina e nei Caraibi. La cura domestica, spesso estesa alla famiglia allargata, grava interamente sulle donne, mentre il loro accesso al mondo del lavoro e a un reddito proprio passa attraverso l’economia “informale”, con attività precarie e prive di tutele. La discriminazione socioculturale delle donne si traduce in una “fragilità economica” che accentua ulteriormente la loro dipendenza da ma-schi/padroni.
Durante i periodi di lockdown la violenza sulle donne a livello mondiale, aumentata in modo generalizzato, ha riscontrato picchi fluttuanti soprattutto in America Latina, anche in Paesi che, secondo il Global Gender Gap Report 2017 (indicati in azzurro nella mappa) avevano raggiunto un buon riconoscimento dei diritti delle donne. In Venezuela, durante il confinamento in casa nel 2020, la violenza domestica ha ucciso più del covid!
Argentina, malata grave
Nel Global Gender Gap Report 2020 risulta al 30° posto l’Argentina, Paese abbastanza avanzato nella parità fra donne e uomini, dove la pandemia si è diffusa rapidamente dalla fine di agosto 2020 diventando emergenza nazionale a ottobre, con oltre 17.000 nuovi casi al giorno.
Il confinamento è stato prorogato fino al 25 ottobre, nonostante la protesta di migliaia di persone contro le restrizioni imposte dal governo. A metà ottobre, il Paese registrava 949.000 casi di covid-19, collocandosi al 6° posto al mondo dopo Usa, India, Brasile, Russia e Colombia.
La violenza domestica su donne e minori si è aggravata durante i periodi di confinamento imposti per arginare la pandemia: dati ufficiali dell’Osservatorio Now That They See Us indicano oltre 178 femminicidi tra il 1° gennaio e il 31 luglio 2020, uno ogni 29 ore. Di questi, 102 si sono consumati proprio durante la quarantena. 17 vittime hanno meno di 18 anni, e di loro 11 ne hanno addirittura meno 10.
Anche la tratta di persone si è aggravata. Secondo i dati del Programma nazionale per il salvataggio e l’accompagnamento alle vittime della tratta del ministero della Giustizia e dei Diritti umani, da marzo a giugno sono state salvate 200 persone: il 67% da tratta per lavoro e il 30% da tratta a fini sessuali. Il numero verde 145 ha ricevuto 1.020 chiamate e nello stesso periodo sono stati effettuati 340 interventi di contrasto alla criminalità.