Molteplici sono le angolature da cui azzardare un’analisi degli effetti sulle donne della pandemia e dell’isolamento forzato. Senza alcun dubbio, l’irruenza con cui il virus ha invaso la “normalità” quotidiana ha gettato tutti in crisi.
Si è soliti attribuire a questo termine, “crisi”, un’accezione prevalentemente negativa, eppure, attingendo alla sua sorgente etimologica, essa si mostra come un monito perentorio alla scelta, al cambiamento. Volenti o nolenti, si è costretti ad accettare una rivoluzione degli assetti consueti.
Si potrebbe affermare che il lockdown e il totale rovesciamento delle abitudini lavorative, di vita, di movimento e di relazione abbiano amplificato quanto di buono era in essere ancora in fieri e, al contempo, abbiano accelerato in forma esponenziale il cedimento di un sistema economico, sociale e di valori che essu-dava vizi esiziali.
Tempo di conti
La pandemia ha disarcionato le certezze fittizie di una società che cavalca prevalentemente l’onda dell’apparire e del possedere, riportando, non senza una cruda ferocia, ogni persona, nessuna esclusa, sul terreno della propria condizione di fragilità umana e, al contempo, di potenzialità evolutiva enorme.
Il tabù, sempre più imperante, della malattia e della morte come aspetti da relegare in un bugigattolo sottochiave si è infranto violentemente come mai prima. La pandemia ha imposto a tutti di fare i conti, chi più chi meno direttamente, con la morte e la sofferenza, e, pertanto, di interrogarsi sul senso della vita e su quali siano davvero le priorità.
Per le donne di fede, per le monache in particolare, questo momento è stato un motivo per intensificare la pratica spirituale, per rafforzare il senso di comunione e di supporto attraverso la preghiera, la meditazione e lo studio delle Scritture. Questo è stato, per esempio, il caso delle monache e dei monaci induisti, che nel periodo del lockdown, e ancora oggi, hanno promosso l’iniziativa #iopregodacasa e #iopregoperte, per donare le proprie preghiere a chi ne avesse fatto richiesta. A questo, si è affiancato anche un servizio di assistenza e supporto telefonico.
Risposte variegate
Passando a un ambito più laico, il ventaglio delle casistiche si allarga. Per molte donne, soprattutto madri, la convivenza familiare coatta ha rappresentato un’opportunità per riappropriarsi di uno spazio e di un tempo do-mestici in cui potersi dedicare ai propri figli e coniugi; momenti che i ritmi frenetici della vita pre-covid avevano in qualche modo “rubato”.