Avere l’opportunità di vivere serenamente il periodo del lockdown ha permesso allo sguardo interiore di rivolgersi all’essenziale e di produrre spazi di riflessione e di crescita. Le sofferenze sono state molteplici, non solo quelle di chi ha perso i propri cari a causa della malattia, ma anche di chi si è ritrovato costretto in una casa prigione, dove il tempo è stato scandito da violenze e soprusi. Donne di tutto il mondo si sono ritrovate in vortici di orrori senza fine. Tra queste, anche numerose donne musulmane, a cui la seguente riflessione è dedicata.
Quale islam?
L’islam, sia come tratto identitario e culturale, sia come fede, appartiene a più di un miliardo e mezzo di persone distribuite in più di duecento Paesi. Questo semplice dato va ricordato in un contesto in cui, a causa di intricate vicende, l’islam è spesso oggetto di una narrazione appiattita e parziale. La tendenza a essenzializzare l’islam, presentandolo come un monolite, privo della possibilità di accogliere i protagonisti del cambiamento, genera diversi fraintendimenti, che in alcuni casi sfociano in parole e azioni di disprezzo. Poiché molte donne musulmane provengono da Paesi dalle difficili condizioni socioeconomiche, in cui una delle fonti della legge dello Stato è, con diverse modalità e in diverse misure, la legge religiosa, è facile semplificare le narrazioni e produrre confusione quando si parla di loro.
Nell’immaginario collettivo le donne musulmane sono, infatti, spesso descritte come soggiogate e oppresse dal potere maschile oppure come attiviste politiche che lottano per contrastare le ingiustizie di genere. I Paesi a maggioranza islamica, in cui spesso le leggi dello Stato sono state permeate da una cornice religiosa, tendono a essere guardati da lontano, solo ed esclusivamente attraverso la lente dell’islam. Tuttavia, sono piuttosto le circostanze socioeconomiche e gli avvicendamenti politici a provocare, come in altre parti del mondo, esperienze di marginalizzazione e disuguaglianza.
Donne musulmane a “Pechino”
Alla Conferenza di Pechino, cercava soluzioni una delegazione di donne provenienti da diversi Paesi a maggioranza musulmana, le quali portavano voci di diversi orientamenti e mettevano in luce bisogni diversi. A causa di un’interpretazione e uso maschilista della religione, alcune donne, allora come oggi, perseguono la strada della conoscenza e della riconfigurazione dei significati, tornando e ritornando alle fonti islamiche per affermare la validità delle loro rivendicazioni. Altre – dimostrando che le fonti islamiche non hanno mai promosso l’ingiustizia e la diseguaglianza di genere – denunciano apertamente la strumentalizzazione della religione a scopo di controllo politico e sociale, che spesso sfocia in forme di abuso di potere. Altre ancora preferiscono separare la sfera del religioso da quella del politico e sociale, facendo emergere problematiche legate dalla confusione tra i concetti di identità e cittadinanza.
I diversi approcci rispecchiano dunque una complessità di pensiero e di orientamento politico che è tuttora in fermento in diversi Paesi a maggioranza musulmana.