Pena conclusa, Samar Badawi e Nassima al-Sadah tornano libere. Le due attiviste saudite, arrestate nel 2018 insieme ad altre donne in un’ampia campagna di detenzioni, sono state rilasciate ieri. A pochi mesi dal rilascio, lo scorso febbraio, di Loujain al-Hathloul, il volto più noto della battaglia per i diritti delle donne saudite, arrivano altre scarcerazioni.
Non per ragioni politiche, ma per la conclusione della pena a cui erano state condannate. Sadah, scrittrice e attivista, in isolamento dal 2019 nella prigione di al-Mabahith, era stata arrestata per il suo ruolo di primo piano nella difesa dei diritti della minoranza sciita, marginalizzata e perseguitata dal regime sunnita; Badawi, detenuta nella prigione di Dhahban, era stata condannata per la sua attività a favore dei diritti delle donne di guidare, votare e candidarsi alle elezioni e per la sua battaglia contro il sistema del guardiano.
Sorridono a metà le organizzazioni per i diritti umani: «Non avrebbero mai dovuto essere detenute e ora meritano giustizia e risarcimenti per la loro incarcerazione arbitraria», il commento di Adam Coogle, vice direttore di Human Rights Watch per Medio Oriente e Nord Africa.
Sulla stessa linea Amnesty International che chiede alle autorità della petromonarchia di «rimuovere i divieti di viaggio di Nassima e Samar». Una richiesta giustificata dai precedenti: al-Hathloul, dopo oltre mille giorni in cella, è ora in libertà vigilata ed è sottoposta a un divieto di espatrio di cinque anni.
Nel caso di Samar Badawi, poi, la sofferenza non è finita: il marito Waleed Abulkheir, anche lui attivista, resta in carcere con il peso di una condanna di 15 anni, mentre il fratello Raif, noto blogger e scrittore, ne sta scontando dieci (oltre a innumerevoli frustrate in pubblico) per la sua dissidenza politica.