Dal 2008, in Italia la recessione ha colpito in particolare il comparto manifatturiero ed edilizio, causando la chiusura di numerose imprese.
Come precisa il Censis,* «dal 2010 titolari e soci di imprese sono passati da 4 milioni e 475mila a 4 milioni e 192mila del 2015, registrando una riduzione di oltre 205mila unità, pari al 6,3%. Tra le donne, però, le perdite sono state inferiori, sia in termini assoluti (-69mila imprenditrici tra 2010 e 2015) che relativi (-5,1%). Si è peraltro riscontrata una crescita del livello di femminilizzazione dell’imprenditoria, passata dal 29,9% del 2010 al 30,3% del 2015».
Grande resilienza
Distinguendo tra le imprese condotte da italiane e quelle condotte da “straniere”, l’andamento è stato molto variegato. L’uso delle virgolette è d’obbligo: in campo economico, si definisce impresa straniera o “immigrata” l’impresa condotta da una persona nata all’estero, a prescindere dalla cittadinanza, o l’impresa in cui almeno la metà delle cariche societarie siano intestate a persone nate all’estero.
Secondo la Fondazione Leone Moressa, mentre gli imprenditori nati in Italia sono diminuiti del 7,4% dal 2010 al 2015, nello stesso periodo in Italia gli imprenditori nati all’estero sono aumentati del 20,4%. Nel 2015 risultavano 656mila, con Marocco, Cina e Romania in testa. Nel 2015, le imprese condotte da stranieri erano 550.717, ovvero il 9,1% del totale, e producevano il 6,7% del valore aggiunto totale, pari a 96 miliardi.
Le spiegazioni di questo fenomeno sono principalmente due: da un lato gli stranieri vedono la loro presenza in Italia strettamente connessa con il lavoro, per cui, a fronte dell’alternativa della disoccupazione, in molti si sono reinventati e messi in proprio, pur di ottenere un reddito. Spesso si tratta di piccole realtà: nell’80% dei casi si tratta di ditte individuali, mentre queste ultime sono il 51% di tutte le imprese guidate da italiani. Una motivazione alternativa va cercata nelle difficoltà che incontrano gli stranieri nell’ottenere avanzamenti di carriera nell’ambito del lavoro dipendente. Molto spesso, infatti, in tale ambito gli stranieri vengono relegati nei lavori a bassa qualifica e remunerazione. I processi di mobilità sociale ascendente, cioè la possibilità di ottenere maggior reddito e un miglior status sociale, per gli stranieri sono possibili soprattutto se scelgono l’imprenditorialità.
Tra 2009 e 2013, anni in cui l’economia ha mostrato spesso segni negativi, gli imprenditori stranieri siano aumentati, e sono cresciute in particolare le imprenditrici straniere, che hanno segnato un +21,9%.
Un tocco femminile da oltre confine
L’aumento delle “quote rosa” nell’ambito imprenditoriale da un lato e l’aumento dei nati all’estero tra gli imprenditori dall’altro, evidenzia ulteriori tratti per le donne straniere in Italia che hanno deciso di fare impresa.
Secondo Unioncamere, nel 2014 le imprese straniere femminili erano 121.397, il 9,3% del totale delle imprese guidate da donne, mentre tra quelle maschili le imprese straniere erano l’8,5%. La presenza straniera prevale nell’imprenditoria femminile in particolare nel settore della moda, dove quasi 30 imprese su 100, fra quelle femminili, sono straniere, mentre sono solo 17 su 100 tra quelle maschili.