Per i bambini, il modo migliore di imparare e quello di imitare, prendendo come esempio le scene che ogni giorno vivono, siano esse reali o parti di storie e racconti che sentono o leggono. Ma nelle storie spesso gli eroi sono uomini, ragazzi, giovanotti aitanti con qualche grande capacità o con tanta sfortuna.
Ma gli eroi, possono essere donne?
L’unico modo per saperlo è far scrivere le storie a che poi ci deve credere. Ai bambini. È quello che hanno pensato le fondatrici della National Youth Foundation, un’organizzazione no-profit degli Stati Uniti che ha promosso l’iniziativa “eroine locali”. Il concorso prevede che i bambini scrivano un libro dalle 20 alle 30 pagine illustrate con protagonista una leader donna che appartenga alla loro comunità, che sia una rapper o la prima donna sindaco.
Secondo le organizzatrici, infatti, i successi e i contributi delle donne alla società non vengono riconosciuti abbastanza. E un’analisi di Slate sui libri pubblicati nel 2015 lo conferma: più del 70% delle biografie riguardavano uomini. Le storie scritte per il concorso, al contrario, hanno lo scopo di ispirare i bambini mostrando modelli di donne forti e insegnare loro il rispetto. Solo così la generazione futura potrà cambiare una società in cui le donne non sono valutate in base al loro lavoro.
Ma il riconoscimento non è solo lavorativo. Il successo, molto spesso è personale, e sociale. Per questo tra le eroine delle nostre storie, ad esempio, c’è Lorrie Trout. Dopo aver passato un mese in prigione, in un periodo buio della sua vita, insieme a Bev Banks, ha deciso di aprire a Lexena, in Kansas, Grow (Grace Restores Overcoming Women), un programma dedicato al reinserimento delle detenute.
La fase di recupero sociale si concretizza con l’ottenimento di un lavoro e inizia prima che le donne lascino il carcere. Poi, ottenuto un impiego, nella casa di recupero, composta da quattro stanze, vengono loro forniti loro vestiti, assistenza psicologica e lezioni di informatica.
L’idea nasce dall’esperienza. Dalla consapevolezza acquisita da queste due donne che esista sempre un'altra possibilità. Ma nasce anche da un dato di fatto reale: tanti programmi si occupano di recuperare e re-integrare gli uomini che sono usciti di prigione, ma nessuno parla mai delle donne, come se una volta finite lì per loro non ci fosse più speranza.
Invece una speranza c’è, e riconoscerla e raccontarla significa rispettare l’uguaglianza e la parità di eroi ed eroine. Nelle storie e nella realtà.