Dieci giorni attraccati alla costa. Tutti “irregolari”. Tutti da rimandare in Libia, secondo Matteo Salvini e il governo italiano. Tutto, per ottenere risposte, sostegno e soccorsi dall’Europa intera. Ammirevole, se non fosse che la maggior parte delle persone bloccate per 10 giorni sul ponte della nave Diciotti avrebbe avuto diritto all’asilo politico immediato.
Ad affermalo, è Daniela de Robert, delegata del garante per le persone detenute e private della libertà personale. Delle 192 persone che il 26 agosto sono finalmente scese dalla nave, a colpirci sono le donne. Undici. Tutte con meno di vent’anni. Molte partite dall’Eritrea quando erano ancora minorenni. Tutte passate per i lager libici.
Quello che emerge dai loro racconti è il terrore di dover tornare in Libia e vanificare in un attimo anni di violenze, torture e stupri. Dove l’unico mezzo per sopravvivere era il coraggio. Il coraggio di intraprendere questo lungo viaggio consapevoli dei rischi estremi a cui stavano andando incontro. Una donna ha raccontato di essere stata un anno in un campo di detenzione, senza cibo, senza servizi, nella più completa promiscuità con gli uomini.
Ciò che accade nei lager libici è molto più grave, ma il governo italiano è impegnato a fermare le persone che vogliono raggiungere l’Europa perché “non ci sono soldi e risorse anche per loro”, invece di sospendere ogni finanziamento al governo libico, complice di affari criminali commessi da funzionari governativi, carcerieri e scafisti sulla pelle dei migranti. Chi si lamenta e vorrebbe migliorare la propria condizione, anziché giustificare e supportare chi li tortura, abbia il coraggio di fare qualcosa: fermare questo scempio firmando questa petizione.
Mentre noi, tutte e tutti, decidiamo da che parte stare, queste 11 donne sono sopravvissute alle violenze nelle carceri libiche, agli stupri degli scafisti, alla pericolosità del mare e ancora, alla violenza nel vedersi negata la libertà di movimento una volta arrivate in Italia. Tutto ciò è crudele.
Ma dai passeggeri della nave Diciotti, non percepiamo violenza, anzi: un coraggioso canto di preghiera e di pace. Voci di donne che cantano e pregano perché sia posto fine alla violenza sui loro corpi. Perché essere trattenute in ostaggio in mezzo al mare, significava continuare a subire gli abusi e le torture che hanno caratterizzato il loro viaggio. Eppure, di fronte alla possibilità di scendere dalla nave per sottoporsi a cure mediche, quattro di loro hanno rifiutato di essere divise dai loro mariti e dai loro compagni di viaggio.
Insegnando così al governo italiano e al mondo, il rispetto della vita umana in tutte le sue forme.