È una storia un po’ arzigogolata, la cui unica costante è sempre stata la fede, unita al desiderio di “essere utile” e di vivere in mezzo ad altre lingue e culture.
Niente male come punti di partenza!
Alla ricerca di sé
Sono Linda, “laica missionaria comboniana”; da poco tempo, ma così contenta di poter definire in qualche modo, in questo modo, la mia identità.
Ho vissuto in diversi Paesi, in cerca di qualcosa. Eppure, come in una delle trame più scontate, era me che cercavo. Non mi sono mai amata, non sapevo farlo, mi ritenevo incapace di vivere; inutile, profondamente sola. Ho alcune esperienze di missione alle spalle. Quand’ero all’università frequentai l’inizio del percorso Gruppo impegno missionario (Gim1) e da allora ho incrociato a più riprese missionari e missionarie comboniane. Negli ultimi cinque anni, a Khartoum (Sudan), dove per lavoro insegnavo inglese, ho avuto la fortuna di incontrare suor Miriam Parra che, con il suo entusiasmo, mi ha coinvolta in attività pastorali e di volontariato. Anche lì facevo cose... ma ogni mattina piangevo. Finché non mi hanno colpito alcune storie di santi e sante che stavo leggendo: Gesù era apparso loro come “bisognoso” delle loro cure, del loro amore. Non so se è un’interpretazione sbagliata, io però mi sono immedesimata in quelle sante e santi, e mi sono detta che forse Gesù aveva bisogno anche di me. Ovvero io, misera e incapace come mi sono sempre sentita, potevo essere utile nientemeno che al Signore, semplicemente amandolo attraverso la preghiera, per consolarlo delle sue ferite, delle sofferenze che ogni giorno subisce insieme alle vittime di guerre e violenze, ingiustizie, e così via...
Il primo passo
Tante volte mi è stato detto che Dio mi amava, però mai come allora mi sono resa conto così lucidamente di come Dio potesse aver bisogno anche del mio di amore, che egli fosse in uno stato di necessità! Questo lo rendeva improvvisamente così vero, così umano! E dava a me una capacità di azione incredibile, mi riconosceva un valore immenso: Lui valorizzava l’amore che io potevo dargli! Non solo, ma mi sono anche resa conto delle potenzialità che aveva la mia preghiera di intercessione. Mi sono detta: «Se anche non credo di poter fare qualcosa di buono in una giornata, ma riesco a fermarmi per un po’ di tempo a pregare, già avrò fatto qualcosa di utile per Dio e per gli altri! Quindi non sono totalmente inutile!». È stato un primo passo.
Piccoli frutti
Poi ho cominciato a pregare tenendo il crocifisso tra le mani: toccare la sofferenza di Cristo e sentirvi il dolore di tutte le persone in difficoltà su questa Terra ha reso la presenza di Gesù molto più reale e viva nel momento in cui prego, e mi fa sentire in unione costante con Lui e con tutte le persone che amo o che soffrono, senza distanze spaziali o temporali.
E così, pian piano, il mio vuoto si riempiva. Ho cominciato ad amare me stessa e la mia vita. Sono riuscita a vedere anche quanti piccoli frutti del mio operare erano davanti ai miei occhi: persone che, nonostante le mie incertezze, ero riuscita in qualche modo ad aiutare, anche lì in Sudan.
È sbocciata la gioia dentro di me.
Verso la scelta
Mi sono anche accorta che svolgere servizi in parrocchia alimentava la mia gioia, molto più del lavoro. Così ho deciso che volevo dedicarmi interamente al servizio di Gesù e della Chiesa, come missionaria. Restava da capire come e con chi farlo. Per fortuna, tornata in Italia, ho trovato suor Yamileth Bolaños Barbosa e poi il Gim2, che accompagna l’approfondimento della propria ricerca vocazionale: loro mi hanno permesso di compiere gli ultimi fondamentali passi verso la mia serenità e scelta di vita. Ho conosciuto i Laici Missionari Comboniani (Lmc) e scoperto che potevo partire per la missione con loro. Per ogni piccolo mio atto di fede ho ricevuto tante ulteriori conferme. Ho appena iniziato l’esperienza di vita comunitaria in preparazione della partenza come Lmc. Il passo successivo sarà il mese di formazione al Centro Unitario per la formazione Missionaria (Cum), e poi sarò pronta per partire. Per dove, ancora non lo so!
Qualche dubbio rimane, ma non avevo mai avuto la serenità che sento ora. E così non mi vergogno più di avere scoperto così tardi nella vita quella che penso essere la mia vocazione. Tutto il dolore e le esperienze vissute sono proprio ciò che mi rende così speciale.
Spero che la mia storia possa in qualche modo essere di incoraggiamento a chi, come me fino all’altro ieri, si sente “in ritardo” nella vita solo per non aver ancora scoperto e “gustato” quanta ricchezza essa racchiuda, e che le risposte che cerca sono proprio dentro di sé.