Lei c’era. A Reggio Calabria nel 2010 e a Torino nel 2013, alle Settimane sociali numero 46 e 47. Suor Alessandra Smerilli, economista, insegna alla Pontificia Facoltà di scienze sociali Auxilium ed è membro del Comitato scientifico delle Settimane sociali. Lei c’era, ben dentro i meccanismi organizzativi. E quindi è nelle migliori condizioni per dare un primo giudizio sull’edizione di Cagliari.
Questa Settimana sociale sembra molto diversa dalle precedenti. È una sensazione corretta? Sì. Non siamo venuti qui né per un evento né per un convegno. Cagliari è la tappa di un percorso iniziato da tempo e che continuerà. Una promessa: oggi non ce ne andremo senza assumerci impegni molto concreti.
Un metodo nuovo, dunque. Tutto nasce due anni fa al Convegno ecclesiale di Firenze. Ero nel Comitato preparatorio, me lo ricordo bene. Si decise di parlare di lavoro non muovendo dalla teoria ma incontrando innanzitutto persone e storie. Abbiamo raccolto circa 400 "buone pratiche". E solo a questo punto, a partire dalla realtà, abbiamo elaborato provocazioni e proposte per le istituzioni. Non ci sono sintesi definitive dei cento tavoli, sui cui materiali continueremo a lavorare.
Una sorta di percorso inverso a quello abituale? Sì. Non dalla teoria agli auspici, ma da ciò che esiste di buono alle proposte.
Che cosa ha funzionato? Siamo molto soddisfatti del coinvolgimento di diocesi e associazioni nel cammino preparatorio. E in queste ore siamo stati molto attenti a rimanere aderenti alla realtà senza limitarci alla sola denuncia o alla semplice descrizione dell’esistente. La realtà va anche interpretata, offrendo ulteriori piste di lavoro per le diocesi e le aggregazioni laicali, e proposte concrete alle istituzioni e al mondo della politica.
Possiamo dire che il nuovo metodo, in cui la parola viene davvero data a tutti e tutti contribuiscono alle conclusioni, sia la traduzione di quella "sinodalità" a cui Francesco invita la Chiesa? Sì. Aggiungerei che abbiamo tenuto conto di tutti e tutto senza la pretesa di ridurre tutti e tutto a un unico pensiero.
E che cosa poteva invece funzionare meglio? Se avessimo avuto più tempo, le buone pratiche sarebbero state assai più di 400. Ci sarebbe piaciuto, poi, coinvolgere anche altre realtà lontane dai nostri mondi.
Ad esempio? Molto abbiamo fatto, ma molto contiamo di fare. Concretamente, alcuni "nuovi mondi" sono il tavolo "Lavoro 4.0" del ministero dello Sviluppo economico, dove siamo presenti. Il senatore Maurizio Sacconi, presidente della Commissione lavoro del Senato, ci ha invitati in audizione sul tema "Trasformazioni del lavoro e lavoro degno".
Questo metodo sinodale è replicabile anche negli altri livelli della vita della comunità ecclesiale, nelle diocesi e nelle parrocchie? Certamente. Basta non avere paura di non sapere in anticipo come andranno le cose.
Insomma, non creare eventi le cui conclusioni sono già scritte? Non creare eventi di questo genere, appunto.
Voi come ci siete riusciti? Ce l’abbiamo fatta grazie a un Comitato fatto di persone esperte ma anche disposte a mettersi in gioco. Per fare un nome soltanto, l’arcivescovo Santoro, presidente del Comitato organizzatore, è stato al gioco, il primo a richiamarci alla concretezza. La combinazione tra persone con tanti background variegati ha permesso che le energie sprigionate fosse positive.