La riflessione che voglio condividere con voi è sulla scuola e sulle sue premesse culturali implicite, cioè di quel mondo nascosto di regole culturali che è sotteso al nostro agire quotidiano; quello che qualcuno in passato ha chiamato anche curricolo nascosto. Le premesse culturali modellano il nostro pensiero, orientando il nostro sguardo sulla realtà che percepiamo. La scuola è un’istituzione che fa uso di dispositivi che condividono le stesse leve che alimentano il razzismo: la semplificazione, l’etichettamento e la conseguente segregazione.
Non voglio dire che la scuola spinga le persone a diventare razziste, ma che faremmo bene a esercitare un po’ di riflessività sul nostro modo di educare per valutare alcune derive presenti nella società che stiamo costruendo. Quali dunque questi elementi normativi e queste procedure che abitano la vita scolastica e ne determinano in un certo qual modo la forma e il funzionamento? Penso innanzitutto all’etichettamento dato dalle sigle e dai voti.
Stranieri (qualcuno usa ancora l’improprio sostantivo extracomunitari), gli H, Gruppo H, GLI, PDP, PEI, DSA: diffuse etichette prendono la caratteristica di una persona e, grazie al linguaggio burocratico, la trasformano nella persona stessa. Le parole che usiamo non solo descrivono la realtà che viviamo, ma la creano anche, intrappolandoci a volte in stereotipi che invece di guidarci con maggiore sicurezza nella vita quotidiana, irrigidiscono la nostra capacità d’azione limitandoci e ingabbiando gli altri in caselle che ne limitano i possibili percorsi di vita.
Il voto è una sintesi in cui tutto ciò non appare, è una “parola” sola e come tale è molto superficiale. L’ultimo decreto legge (D.L 62 del 13 aprile 2017) si esprime chiaramente su questi punti e riporta che la valutazione: ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento; ha finalità formativa ed educativa; concorre al miglioramento degli apprendimenti; documenta lo sviluppo dell'identità personale; promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
Una richiesta paradossale: a fronte di una tale complessità dall’ambito valutativo (formativo, sommativo e autovalutativo), si chiede agli insegnanti di utilizzare come indicatore efficace il voto espresso in decimi. Una valutazione, per essere autentica, deve dotarsi di strumenti che consentano di raggiungere le finalità che la legge si propone per arrivare a comporre, come in una trama, i diversi punti di vista sull’apprendimento al fine di ricostruire un’immagine più realistica della complessità osservata e interpretata. Il tentativo dunque dev’essere quello di raccogliere in un’unica cornice il punto di vista degli insegnanti, dell’allievo e della famiglia. Ideare strumenti che permettano il monitoraggio lungo tutto il percorso di insegnamento/apprendimento e che utilizzino “parole” per descrivere quanto osservato.
Decostruire il razzismo, anche in rima
Lavoriamo per scollare queste etichette, educhiamoci alla complessità e impegniamoci a lottare contro le piccole ingiustizie quotidiane. Parto dal razzismo perché purtroppo non è solo una brutta storia, ma anche una brutta realtà del presente. Il razzismo è un modo di guardare gli altri, al mondo. È una semplificazione della realtà, è un errore metonimico o matematico - dipende da che parti lo si guarda - e da maestro ho il dovere di lavorare su questi tipi di errori.
Il razzismo infatti prende il tratto di una persona e lo estende alla sua identità, prende il tratto di un individuo e lo adatta ad un popolo e viceversa, come se condividere la terra dei padri entro confini costruiti politicamente e culturalmente sia una condizione di uguaglianza. Prende degli elementi e ne fa una classe solo perché condividono un aspetto, azzerando così la complessità e le sue splendide sfumature.
E allora provo a parlare di razzismo ai bambini anche usando le rime.
Come i semi in una giara
Com'è difficile spiegare
che non siamo tutti uguali,
ma che tutti apparteniamo
alla specie degli umani.
Che ogni tratto, differenza,
non divide, non separa,
ma è una naturale varietà
come i semi in una giara.
L’occasione per scoprire
qualche cosa di se stessi
perdendosi negli occhi altrui
per ritrovarcisi riflessi.
Che il razzismo non esiste
è invenzione grande e grossa,
resta un chiodo conficcato
nella pelle, nelle ossa,
nella vita della gente
nella testa, nelle parole
nelle esperienze di ogni giorno
negli incontri e nelle persone.
Come un abito indossato,
esibito con arroganza
non si è ancora stropicciato,
ma è il distintivo dell'ignoranza.
Un'assurda convinzione
di chi crede d'essere migliore
senza vedere la bassezza
della propria posizione.
Il razzista è di gran moda
e cammina a testa alta
se ne frega del rispetto
ed è cieco, come una talpa.
Ritiene d’essere superiore,
ma questo trucco gli riesce
chiamando chi è diverso
"essere inferiore",
primitivo, medioevale,
selvaggio o troglodita
ogni tanto cambia il nome
ma in sostanza punta il dito.