Le aspettative erano tante. Sono rimasta impressionata da una lettera indirizzata a papa Francesco da giovani missionari appartenenti a differenti Chiese cristiane: anche loro sperano che questo Sinodo possa aiutarli ad accompagnare meglio i loro coetanei nel discernimento della propria vocazione. Questo desiderio rivela che i giovani sono già co-creatori di una Chiesa relazionale, inclusiva e “in uscita”, in cui si sentono a casa.
Una delle parole-chiave di questo evento è stata “ascoltare le aspirazioni dei giovani”. Mentre stavamo lavorando sulla prima parte dello Strumento di lavoro è emersa la necessità di vivere in modo concreto la cultura dell’ascolto: permette di diventare comunità empatica, relazionale e “in uscita”.
Un grido dall’Africa
In Africa le giovani generazioni sono vittime di un sistema socio-economico e politico basato sull’esclusione delle moltitudini da parte di élite ristrette: per questo i giovani chiedono una Chiesa che si faccia prossima e partecipe delle loro fatiche quotidiane. Una Chiesa con padri e madri che davvero si prendano cura di loro e li accompagnino nell’affrontare le sfide di oggi. Chiedono persone coerenti, che vivano quello che dicono, e che sappiano aiutarli a scegliere ciò che promuove la loro crescita.
La seconda settimana dei lavori è stata incentrata su fede, vocazione, discernimento e accompagnamento. La vocazione non è esclusiva di pochi “prescelti”: è una chiamata universale alla gioia e all’amore. Ogni vita umana risponde a una vocazione, e ogni volta che c’è una chiamata, matura anche una risposta. A tal riguardo i giovani e le giovani presenti al Sinodo hanno espresso con molta chiarezza, vivacità, e anche con commozione, la necessità di essere accompagnati nella loro quotidianità concreta.
Un giovane ha affermato: «Noi desideriamo vivere amando anche i nostri coetanei che non aderiscono alla fede cristiana o a istituzioni religiose; ci sta a cuore condividere con loro la gioia che attingiamo dal Vangelo e desideriamo vivere in pienezza il dono della vita, nonostante le nostre debolezze, i nostri fallimenti e i nostri errori». La richiesta emersa con insistenza è che ci siano persone credibili, accessibili e disponibili a camminare insieme nella ricerca di una vita densa di significato, come quella che scaturisce dall’aver dato risposta alla propria vocazione personale: «Uomini e donne capaci di evocare in noi domande profonde sulla nostra vita – precisano –, adulti che ci incoraggino a esplorare queste domande, senza darci risposte preconfezionate».
Risonanze comuni
Dalla mia esperienza posso dire che queste affermazioni rispecchiano le speranze di tanti e tante giovani in Africa che chiedono una Chiesa più coerente e più vicina a loro. Chiedono persone che abbiano con loro la delicatezza che Gesù di Nazaret ha avuto verso i due discepoli che camminavano sconsolati verso Emmaus: ha saputo avvicinarsi a loro e fare domande, camminare e stare con loro; ha cambiato i suoi programmi quando è stato necessario, e ha saputo anche quale fosse il momento opportuno per andarsene.