Innanzitutto vi è una questione a margine, che però va affrontata, e cioè quella della definizione della migrazione come problema. A mio avviso la migrazione è piuttosto un fenomeno, che ha risvolti sia positivi sia negativi, come ogni fenomeno sociale.
I fenomeni presentati come “problemi” assumono tratti decisamente negativi, per i quali si cercano “soluzioni”. Le migrazioni non hanno bisogno di soluzioni, piuttosto implicano l’adozione di politiche per governare il fenomeno.
In secondo luogo, gli aiuti allo sviluppo da parte degli Stati nazionali sono un intervento molto contenuto e che presenta delle criticità crescenti in termini di destinazione. Per quanto riguarda l’Italia, secondo l’Ocse nel 2017 è stato versato lo 0,29% del Pil in aiuti allo sviluppo (5,73 miliardi di dollari), in crescita rispetto allo 0,26% del 2016, ma ancora ben lungi dall’obiettivo dello 0,7% stabilito dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
La questione più problematica, inoltre, è che paradossalmente nel 2016 il 34% di questa cifra (oltre 1,66 miliardi di dollari) è stato speso localmente, ovvero in Italia, per l’accoglienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale. Vi sono dei comprensibili dubbi sul fatto che questi investimenti rientrino nell’alveo degli aiuti allo sviluppo e rispondano effettivamente agli obiettivi della cooperazione internazionale.
Rimesse e sviluppo
Un “aiuto allo sviluppo” sicuramente più consistente di quelli ufficiali deriva dalle rimesse, e quindi viene dai migranti stessi.
Dal rapporto della Fondazione Moressa recentemente uscito emerge che secondo la Banca Mondiale le rimesse verso l’Africa subsahariana nel 2016 sono state di 33 miliardi di dollari e nel 2018, secondo le previsioni, raggiungeranno quasi 39 miliardi. Gli aiuti allo sviluppo provenienti dai Paesi Ocse, invece, sono stati molto più limitati: 25 miliardi di dollari nel 2016.
In altri termini, la presenza stessa degli immigrati favorisce il flusso di capitali verso i Paesi di origine. Migrazioni e sviluppo sono fenomeni che non sono alternativi tra loro, ma invece si rinforzano attraverso circuiti potenzialmente virtuosi. Non a caso, è stato dimostrato che i Paesi, o meglio le zone di provenienza dei migranti, di solito non sono quelle più povere del globo ma quelle che hanno raggiunto un discreto livello di sviluppo, non fosse altro che per l’investimento iniziale che richiede la migrazione.
A riprova di ciò, anche l’Italia è ancora fortemente contraddistinta dall’emigrazione: solo nel 2017 sono state quasi 243.000 le iscrizioni all’Aire di cittadini italiani, di cui più di 128.000 per espatrio.
Immigrazione come risorsa
Infine gli immigrati non sono un beneficio economico solamente per i Paesi di origine: lo sono anche per i Paesi ospitanti.
Soprattutto negli ultimi anni, gli immigrati sono stati presentati nel discorso pubblico come un costo per lo Stato, citando molto spesso i 35 euro al giorno pro capite spesi per l’accoglienza di una piccola parte di loro (il 3,4% del totale), cioè i richiedenti o titolari di protezione internazionale effettivamente accolti.
Questo costo va però letto nell’ambito delle entrate e uscite complessive per lo Stato, che vedono diverse altre voci da considerare: questo specifico costo è ricompreso nella voce “Ministero dell’Interno”, che però comprende anche altre uscite, come i Centri di Permanenza per i Rimpatri.
Un po’ di cifre
Tra le entrate, le due voci da segnalare sono, da un lato, i contributi previdenziali, che ammontano a quasi 12 miliardi di euro, e che in molti casi non verranno goduti dai cittadini immigrati. Vi è, dall’altro lato, il gettito Irpef: anche questa voce è connessa alla presenza importante degli immigrati nel mondo del lavoro. Sono poi conteggiate diverse imposte, da quella sui carburanti a quella sui consumi, alle specifiche tasse legate ai titoli di soggiorno e alle acquisizioni di cittadinanza.