Nel periodo maggio 2018-febbraio 2019 è progressivamente crollato il rilascio di nuovi permessi di soggiorno per motivi umanitari. Le Commissioni territoriali hanno cominciato a ridurne la concessione già a fine estate, in conseguenza di una direttiva del ministero dell’Interno che sul punto anticipava il decreto Salvini: le Commissioni erano invitate a concedere tali permessi solo in casi molto particolari.
Da maggio ad agosto 2018, in linea con i mesi precedenti, circa un quarto dei richiedenti asilo avevano ottenuto un permesso di protezione umanitaria, mentre a partire da settembre 2018 la percentuale ha cominciato a ridursi decisamente: 17% in settembre, 12% in ottobre, 5% in novembre, 3% in dicembre. Tali dati potrebbero stupire, visto che in quel periodo la legislazione è rimasta invariata, così come la tipologia dei casi esaminati, ma il peso esercitato sulle Commissioni dalla citata direttiva del ministero dell’Interno ha portato a un’interpretazione sempre più restrittiva delle peraltro vaghe disposizioni legislative in materia di “protezione umanitaria”.
Tendenze in atto
Con l’entrata in vigore del “decreto sicurezza”, ossia a partire dal mese di gennaio 2019, le Commissioni territoriali lo hanno subito applicato, anche per le domande di asilo inoltrate prima della sua conversione in legge. Pertanto non sono più stati rilasciati i permessi di “protezione umanitaria”, aboliti dal decreto, bensì quelli introdotti per “casi speciali” (tabella 1). Le concessioni, comunque, sono state pochissime: a fronte del 4% di permessi “umanitari” rilasciati sul totale dei casi decisi nel bimestre novembre-dicembre del 2018, i permessi “speciali” rilasciati a gennaio-febbraio 2019 sono stati il 2% (tabella 2).
Si può notare che fra maggio 2018 e febbraio 2019 è stata registrata una variazione, seppur lieve, anche per lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria: in termini percentuali sono aumentati da poco più del 10% nel periodo maggio-luglio a circa il 15% nel periodo novembre 2018-febbraio 2019.
Compensazioni trascurabili
I dati di cui sopra inducono a concludere che:
a) le Commissioni, seguendo gli indirizzi ministeriali, hanno ridotto drasticamente la concessione di permessi umanitari già prima del decreto Salvini e la riduzione si è consolidata dopo la sua entrata in vigore;
b) le Commissioni hanno in certo modo “compensato” il minor ricorso al permesso umanitario concedendo maggiormente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Sembra abbiano recepito, in qualche misura, la raccomandazione espressa dal capo dello Stato in occasione della promulgazione del decreto: evitare che i nuovi criteri intacchino la tutela del contenuto essenziale dei diritti.
Una compensazione comunque parziale, dal momento che le domande di asilo sono state respinte per circa circa il 60% nel periodo maggio-agosto 2018 e per circa l’80% del periodo novembre 2018-febbraio 2019.
Zone d’ombra
I dati qui presentati attingono esclusivamente ai pronunciamenti delle Commissioni territoriali, poiché non esistono dati statistici sulla sorte di quanti non hanno ottenuto un qualche tipo di tutela. È noto che alcuni non hanno fatto ricorso in tribunale e sono divenuti subito irregolari, mentre altri, inoltrando ricorso, hanno conservato una posizione regolare provvisoria, che potrà anche essere confermata dai tribunali. Il numero di coloro che rimangono senza tutela potrebbe pertanto ridursi, dal momento che le Commissioni territoriali hanno esaminato finora le richieste d’asilo presentate prima che il decreto Salvini diventasse legge e alcuni giudici tendono a riconoscere per esse la validità delle “vecchie” norme, che prevedevano anche la protezione umanitaria.
Retroattività problematica
Una legge che altera i diritti, come nel caso del decreto sicurezza, non dovrebbe essere applicata in modo retroattivo, perché adottare in giudizio regole diverse da quelle in vigore al momento in cui la persona si è rivolta alle istituzioni incrina il rapporto di fiducia con le istituzioni stesse.
Il numero di ricorsi finora presentati in tribunale per contestare l’applicazione retroattiva del decreto 113/2018 non è noto, come non è chiaro quali regole verranno applicate dai giudici, ma, in relazione ai ricorsi finora esaminati, i tribunali hanno emesso sentenze difformi. Questo sta ingenerando una giurisprudenza confusa, che potrebbe essere superata da una futura pronuncia delle sezioni unite della Cassazione.
Il quesito “anagrafe”
Il decreto Salvini risulta controverso anche per l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo: il testo sembra voler escluderla, ma lo fa con una formula che si presta a diverse interpretazioni. Le domande di asilo sono circa 3.000 ogni mese, ne deriva che oggi, a oltre sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, quasi 20.000 persone rischiano di rimanere prive di iscrizione anagrafica. Alcuni Comuni, però, le iscrivono comunque e i tribunali sembrano orientati a dar loro ragione, perché i servizi comunali presuppongono l’iscrizione anagrafica e, se la persona esiste, non può essere ignorata. Da notare che l’iscrizione non è una sorta di premio, come molti sembrano ritenere in questi tempi; è la presa d’atto che una persona esiste e che la collettività, in una qualche misura, deve farsene carico.
“Umanitario” no, “lavorativo” sì
Dal 3 dicembre 2018 chi detiene un permesso di protezione umanitaria non può più rinnovarlo alla scadenza, in quanto tale permesso è stato eliminato dal decreto Salvini. Può soltanto essere convertito in permesso lavorativo. Dalle questure non sono stati ancora comunicati dati relativi a tale conversione: si tratta, potenzialmente, di migliaia di persone che in passato avevano ottenuto la protezione umanitaria. Quante di loro siano attualmente soggiornanti in Italia rimane un enigma, perché possiamo immaginare che alcune abbiano raggiunto Paesi europei che offrono maggiori opportunità lavorative. Chi, con permesso di protezione umanitaria in scadenza, rimane in Italia e, per la limitata disponibilità di occupazione, non riesce a ottenere un permesso di lavoro, andrà ad aumentare il numero degli “irregolari”.
Rimpatri difficili
Il decreto sicurezza bis, approvato il 14 giugno 2019, ha stanziato un fondo di due milioni di euro per aumentare i rimpatri di chi soggiorna irregolarmente in Italia. L’intenzione è di invertire la tendenza: nel 2018 i rimpatri sono stati inferiori agli anni precedenti (grafico 1), mentre Matteo Salvini aveva promesso di rimpatriare oltre 500.000 irregolari.
Ogni rimpatrio costa diverse migliaia di euro, ma ciò che ne limita il numero non è tanto la mancanza di fondi quanto l’assenza di accordi con i Paesi di origine: la Cina, per esempio, rifiuta i rimpatri, e sono migliaia i cittadini cinesi irregolarmente soggiornanti in Italia. Anche altri Paesi che godono di grande prestigio internazionale considerano un vulnus il rimpatrio coatto di loro cittadini “irregolari”: politicamente sarebbe un’ammissione di fragilità.
L’Italia ha stipulato accordi con Paesi poveri, spesso governati da regimi autoritari e fortemente legati al nostro Paese. Ulteriore elemento limitante è che non si possono effettuare deportazioni verso Stati che non rispettino i diritti umani.
In conclusione, i due milioni stanziati dal decreto sicurezza bis non risolvono il problema, ma potrebbero incentivare il rimpatrio volontario.