Arrestata e portata via in piena notte come un pericoloso criminale.
Quest’immagine resterà a lungo il simbolo di quello che è diventato questo Paese, che criminalizza chi salva vite in mare e tace di fronte a mafie e corruzione.
Per quanto lo si mascheri da atto dovuto, l'arresto della Capitana della SeaWhatch3 resterà una macchia indelebile di disonore a carico di uno Stato che calpesta il principio del soccorso in mare, fingendosi invaso da un equipaggio generoso e da migranti inoffensivi.
La verità è che Carola ha salvato la vita a 42 persone che la nostra legge avrebbe condannato ad affogare in mezzo al mare o ad essere richiuse in un campo profughi.
Una legge che ha lasciato un paese immobile, anche di fronta ad una sonora richiesta di aiuto. Anche se il premier Giuseppe Conte, che a margine del G20 lo scorso venerdì a Osaka ha avuto un lungo colloquio con il collega olandese Mark Rutte, aveva annunciato che "tre o quattro Paesi sono disponibili alla redistribuzione dei migranti della Sea Watch". In realtà i Paesi erano già 5 cinque: Francia, Germania, Lussemburgo, Finlandia e Portogallo.
Mentre possiamo concordare con il vicepresidente Salvini che molti Paesi dell’Eurozona si sono mostrati indifferenti a questa situazione, è fondamentale evidenziare che le norme di navigazione non mostravano alternativa all’Italia.
Il nostro paese occupa, infatti, una posizione centrale nel Mediterraneo, è vicino alla Libia ed è più attrezzato per l’accoglienza rispetto a Malta, che è sì più vicina ma ha una superficie di 316 km², pari allo 0,10% di quella italiana. Inoltre l’Italia è in grado di tutelare il rispetto dei diritti umani più della Tunisia, che non ha una legislazione d’asilo completa.
Ciononostante, non è vero che le ong non ci vanno: lo scorso 28 gennaio un altro comandante della Sea Watch ha chiesto a Malta e Tunisia un porto sicuro dopo aver soccorso 47 migranti. I suoi tentativi, però, sono stati vani.
Non ci sono dunque concorrenti da salvare in questo gioco delle parti. Solo ringraziare chi ha deciso di difendere non il proprio orgoglio, né le false aspettative, ma i diritti umani. Oltre al capitano Carola, infatti, l’equipaggio comprendeva altre due donne: Verena e Heidi. Un medico e una mediatrice culturale.
Donne che ancora una volta hanno dimostrato coraggio, resilienza, umanità. E quanto possa essere potente una giusta decisione.