In Italia la legislazione relativa a stranieri provenienti da Paesi non Ue è relativamente recente: risale alla fine degli anni Ottanta. In effetti, prima degli anni Settanta l’Italia era stata Paese di emigrazione; la stessa Costituzione italiana, redatta quando l’Italia non poteva essere neppure immaginata come Paese di destinazione o di transito di migranti, contempla il diritto a emigrare, non quello a immigrare.
Lacune e contraddizioni
La normativa sull’immigrazione arriva tardi e con evidenti lacune, anche perché frutto esclusivo di circolari del ministero degli Interni. Comunque, introduce subito la «parità di trattamento per gli stranieri regolarmente residenti in Italia»; parità riconosciuta in tutti i diritti fondamentali, dall’educazione al trattamento sanitario, ma allora non ancora esercitata, perché quella stessa legge non precisava come le persone potessero immigrare e lavorare in Italia. Per queste lacune legislative, gli anni successivi furono costellati di sanatorie.
Il punto di svolta è costituito dal Testo unico sull’immigrazione (Tui) del 1998, che include la legge Turco-Napolitano e quasi tutta la legislazione successiva, compresa la legge Bossi-Fini, prima svolta restrittiva sull’immigrazione.
Ne deriva che il Tui è una normativa corposa, complicata e contraddittoria. Circa la parità di trattamento, per esempio, una normativa del 2013 non si coordina con la precedente. Quando la normativa è confusa, è meno agevole intervenire speditamente senza ricorso ai tribunali.
Entro la cornice europea
La normativa italiana sull’immigrazione deve peraltro essere compresa entro l’evoluzione di quella dell’Unione Europea, che fino alla fine degli anni Novanta era molto limitata per mancata cessione di competenza da parte degli Stati nazionali.
Fino al 2009 si limitava a due ambiti “umanitari”, il diritto d’asilo e il ricongiungimento familiare, entrambi allora poco rilevanti, e a un intervento repressivo per l’allontanamento degli irregolari, con sanzioni comminate anche ai loro datori di lavoro. Proprio in quegli anni l’Ue venne definita «matrigna» dagli ambasciatori dei Paesi dell’America del Sud che per secoli avevano ricevuto immigrati dall’Europa e mai li avevano “allontanati”.
Il cambiamento è intervenuto con il Trattato di Lisbona, cui sono seguite varie direttive europee sull’immigrazione. Una di queste, emanata dall’Europarlamento nel dicembre 2011, e recepita in Italia nel 2014, nell’art. 12 esplicita la parità di trattamento e si occupa anche di una procedura unica di domande per il rilascio di un permesso unico che consenta a cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare regolarmente in uno Stato dell’Ue. È una direttiva che regola la migrazione economica, oggi quasi eliminata dal linguaggio politico: si concede permesso di soggiorno per asilo politico e protezione sussidiaria, ma non per migrazione economica.